Friday, 13 April 2007

Algeria ed attacco terroristico: una riflessione

Raffaello Zordan
11 aprile 2007: 3 autobombe esplodono ad Algeri, almeno 24 morti, oltre 200 i feriti. Secondo la giornalista algerina Nacéra Benali il paese non è ripiombato negli anni ’90. Ma il pericolo islamista non va sottovalutato. Nemmeno in Europa.

Nacéra Benali è corrispondente del quotidiano algerino indipendente Al Watan. Vive da oltre dieci anni in Italia, dopo essere stata minacciata di morte dagli integralisti islamici del Gia a causa di un suo reportage sul terrorismo algerino. È autrice del libro Scontro di inciviltà (Sperling & Kupfer, 2005) sugli equivoci e i pregiudizi che segnano le relazioni tra i mondo occidentale e il mondo musulmano.
Con Benali abbiamo cercato di cogliere alcuni elementi del contesto algerino in cui sono maturati gli attentati dell’11 aprile ad Algeri, che hanno causato 24 morti e non meno di 200 feriti.

Questi attentati firmati ad Al Qaeda stracciano la “Carta per la pace e la riconciliazione nazionale” voluta dal presidente Bouteflika?
Negli ultimi cinque anni Algeri è stata una città normale. Era ritornata ad essere tranquilla e sicura. Ma questo attentato va colto in tutta la sua gravità. Sia per il modo in cui è avvenuto: ci sono state tre autobomba. Sia per gli obiettivi: colpire il palazzo del governo in pieno centro di Algeri, cioè nel punto che dovrebbe essere il più protetto, è una cosa grave. E poi c’è un fatto nuovo. Per la prima volta in Algeria, il terrorismo ha usato i kamikaze. E questa, non ci sono dubbi, è la firma di Al Qaeda.

Significa che il paese, dopo oltre 15 anni di guerra civile, di terrorismo e di violazione dei diritti umani da parte dell’esercito, non ha ancora trovato una via d’uscita credibile e sta tornando indietro?
L’Algeria non tornerà a vivere quello che ha vissuto negli anni Novanta, perché la società è molto vigile, perché l’ideologia integralista è stata rigettata dalla gente. Però è chiaro che il progetto di concordia civile, varato dal governo, è fallito, la pacificazione non c’è stata. Questo progetto peraltro non è stato condiviso dalle famiglie delle vittime del terrorismo, contrarie alla liberazione di terroristi. E infatti questi terroristi, una volta liberi, sono tornati a colpire.
Il Fis (Fronte islamico di salvezza) messo fuori legge nel 1992, mentre stava vincendo le elezioni: questa è la miccia che ha innescato lo scontro che è costato 200mila morti. Intanto il Fis rimane fuori legge, ai suoi dirigenti è proibita l’attività politica.

Quali sono i nodi da sciogliere?
Rilevo che questi attentati avvengono a ridosso delle elezioni politiche del 17 maggio. E questo è un rituale al quale ci siamo, diciamo così, abituati ad ogni scadenza elettorale. Si cerca di influenzare l’opinione pubblica. Ricordo che le autorità hanno vietato la partecipazione al voto di maggio di un partito islamista, che rifiuta la lotta armata ma che è comunque islamista.
Il progetto a lunga scadenza di chi compie gli attentati è di trasformare l’intero Maghreb in una repubblica islamista. Il progetto a breve è di far vedere che, dopo la guerra in Iraq, c’è un altro fronte della lotta islamista. E in effetti prima dell’Iraq i gruppi fondamentalisti maghrebini si muovevano in ordine sparso, mentre oggi – grazie alla guerra in Iraq – si sono raggruppati sotto la bandiera di Al Qaeda.

In questo quadro rischia anche l’Europa?
Già all’inizio degli anni ’90, intellettuali, giornalisti e osservatori politici algerini avevano dato l’allarme: l’islamismo prima o poi arriverà in Europa. Non sono stati ascoltati. Intanto in Algeria, Marocco, Tunisia, Libia ed Egitto si sono create reti islamiste che temo abbiano nel mirino anche l’Europa.
Fonte:www.nigrizia.it

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