Monday, 16 November 2009
Due pesi e due misure
Monday, 2 November 2009
Festival del cinema africano
Monday, 26 October 2009
Duecento clandestini che oggi entrano nelle acque italiane
Vorrei capire perché delle persone, che io e il diritto definiamo migranti, perché sono persone che stanno migrando, vengono definite dai giornalisti clandestini.
Mi piace pensare che sia per ignoranza, perché non sanno che quelli, tecnicamente, non sono ancora clandestini.
Temo invece che si tratti di un errore malizioso, teso a creare allarme e senso di insicurezza nel lettore che ingenuamente legge l'articolo.
Mi disgusta l'idea che dei grassi giornalisti nati dalla parte fortunata del mondo abbiano l'ardire e la faccia tosta di etichettare dei disperati come clandestini, come persone la cui vita è clandestina (mentre, al limite, si tratta di persone che fanno ingresso in Italia senza i documenti necessari).
Tuesday, 20 October 2009
Tsvangirai esce dal governo
È rottura tra il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, e il primo ministro, Morgan Tsvangira. Il premier ha sospeso i lavori del governo di unità nazionale, finché non saranno interrotti gli abusi commessi nei confronti dei militanti del suo partito. A far scoppiare il caso, l'arresto, mercoledi, del deputato Roy Bennett.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo l'arresto in Zimbabwe, mercoledì 14 ottobre, di Roy Bennett, il primo ministro Morgan Tsvangirai ha sospeso la partecipazione del proprio partito al governo di unità nazionale, formato insieme al presidente Robert Mugabe.
Mugabe «non è degno della mia fiducia» ha dichiarato Tsvangirai. L'arresto di Bennett dimostra che «il nostro movimento non dispone di un partner affidabile», ha aggiunto il primo ministro.
Roy Bennett, tesoriere del Movimento per il Cambiamento Democratico del premier Tsvangirai, designato Vice Ministro dell'Agricoltura, è stato di nuovo arrestato dopo che un tribunale ha deciso di procedere con le accuse di terrorismo mosse contro di lui, ancora nel febbraio scorso.
Esponente della classe di proprietari terrieri bianchi, che, nel paese, si è vista requisire le terre, con la riforma agraria del presidente Robert Mugabe, Bennett si trovava in esilio in Sudafrica. Quando è tornato nel paese per prendere parte alla cerimonia di insediamento del governo, il 13 febbraio scorso, è stato arrestato. Da allora entra ed esce di galera.
Tsvangirai ha dichiarato che fermerà ogni attività di governo, finché gli attacchi compiuti contro il suo partito non cesseranno.
Esercito, polizia e giudici rimangono infatti saldamente ancora nelle mani dello Zanu Pf del presidente Mugabe, mentre sono sempre più numerosi i processi imbastiti contro i deputati del Movimento per il Cambiamento Democratico.
Le accuse spaziano dallo stupro, al furto e dal terrorismo, al disturbo della quiete pubblica. Quest'ultimo caso, in particolare, riguarda l'arresto, il 9 agosto scorso, di 10 deputati che stavano andando al ministero delle Finanze per un incontro. Il gruppo era da pochi minuti in attesa di parlare con il ministro, quando 7 poliziotti armati sono arrivati ad arrestarli.
Casi simili continuano a ripetersi, nonostante l'accordo siglato tra tutti i partiti al governo, abbia offerto al regime di Mugabe la "riabilitazione", con lo scongelamento dei fondi destinati a soccorrere l'economia del paese, ormai al collasso. Pochi giorni fa, la stessa Gran Bretagna, nemico numero uno del presidente Mugabe, ha annunciato lo stanziamento di 100 milioni di dollari in favore del paese.
Ma la strategia dello Zanu Pf appare essere sempre più chiara: erodere il potere del premier, tentando di far decadere dalla carica i pochi seggi di vantaggio che il Movimento per il Cambiamento Democratico detiene in parlamento. Con una condanna a sei mesi di carcere, un deputato è costretto, infatti, a dimettersi dal proprio incarico.
Monday, 19 October 2009
17 ottobre: NO al razzismo
Il 7 ottobre 1989 si è tenuta a Roma la prima manifestazione contro il razzismo e per i diritti dei migranti.
Il 24 agosto dello stesso anno, infatti, a Villa Literno era stato ucciso un rifugiato sudafricano, Jerry Essan Masslo: il primo omicidio di stampo razzista della storia della Repubblica.
A vent'anni di distanza, il razzismo non solo non è stato sconfitto, ma è penetrato nel discorso pubblico e nei linguaggi privati, negli atteggiamenti e nei comportamenti ormai dati per scontati di tanta parte del Paese.
L'intolleranza sta purtroppo diventando un habitus mentale molto diffuso in Italia, e certo non solo quella nei confronti di migranti ma anche di omosessuali, transessuali e in generale di GLBT.
L'intolleranza non viene solo dal basso, ma anche da chi ci governa, che anzi guida e capeggia questo tipo di comportamenti ed atteggiamenti indegni dell'esser umano.
I governanti esacerbano il potenziale conflitto interculturale, senza offrire reali vie di convivenza costruttiva, con misure legislative quali il pacchetto sicurezza, con l'ultima "perla" della Legge 94.
Vedo spesso sorgere, intorno a me, anche modalità impreviste e normali di convivenza serena e sono quelle che più fanno sperare.
Fonti: il Messaggero, Atlantide, il Manifesto.
Approfondimenti: Carta.
Monday, 12 October 2009
CAP ANAMUR: ASSOLTO L’INTERVENTO UMANITARIO
L'ASGI esprime la propria piena soddisfazione in relazione alla sentenza di assoluzione con formula piena “perché il fatto non costituisce reato” assunta dal Tribunale di Agrigento nell'udienza del 7 ottobre 2009 nei confronti del presidente dell’associazione umanitaria Cap Anamur Elias Bierdel, del comandante della nave omonima Stefan Schimdt e del primo ufficiale Vladimir Dachkevitce, imputati di agevolazione dell’ingresso di clandestini, dopo avere soccorso, con la nave Cap Anamur nel giugno 2004, 37 naufraghi alla deriva cento miglia a sud di Lampedusa.
In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, va comunque subito rilevato che, dopo anni di indagini e dopo l’ audizione di numerosi testimoni, le accuse formulate dalla Procura di Agrigento sono risultate destituite di ogni fondamento. E’ caduta l’ iniziale ipotesi accusatoria della forzatura del blocco navale che era stato imposto alla nave Cap Anamur, tenuta per due settimane al largo delle coste siciliane per decisione del Governo italiano, ed è, invece, emersa la situazione di stato di urgenza e necessità, determinata a bordo della nave da una così lunga permanenza dei naufraghi, ai quali venivano impediti lo sbarco e la possibilità di far valere la loro richiesta di asilo o di protezione umanitaria.
Il periodo di tempo trascorso tra l’ azione di salvataggio e la richiesta di attracco della nave Cap Anamur a Porto Empedocle non era certo imputabile ad una scelta nell’interesse personale dei responsabili della nave, o alla ricerca di un profitto ( il cd. dolo di profitto), ma ai ritardi derivanti dalla querelle diplomatica tra i Governi dell'Italia, della Germania e di Malta sull'individuazione del porto sicuro in cui far sbarcare i naufraghi ed accogliere le richieste di asilo che erano state formulate al comandante della nave.
L'ASGI auspica che la sentenza del Tribunale di Agrigento possa costituire un importante precedente che permetta di fare chiarezza sulla radicale differenza che c'è, sul piano giuridico ed etico, tra il favoreggiamento dell'immigrazione irregolare da parte di organizzazioni che lucrano sulla terribile condizione di bisogno dei migranti, e, sul versante del tutto opposto, le doverose azioni di salvataggio dei naufraghi sancite da tutte le Convenzioni sulla sicurezza della vita in mare.
Chi effettua salvataggio in mare non commette nessun reato e il comandante è l’unica persona che può individuare il porto sicuro, anche da un punto di vista giuridico, per lo sbarco. Il messaggio chiaro che emerge dalla sentenza agrigentina è che gli Stati devono rispettare il Diritto Internazionale del Mare, che vieta anche il respingimento collettivo, nonché il divieto di refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra.
L'ASGI auspica che i prossimi interventi di salvataggio non siano più soggetti a minaccia di sanzione penale e che ciò incoraggi anche i mezzi civili ad interventi di salvataggio più tempestivi, senza lasciare naufraghi in mare, a morire di inedia per settimane, come è successo tragicamente troppe volte nel Canale di Sicilia.
Fonte: www.asgi.it
Monday, 5 October 2009
Misteri sui fondali
Il pericolo esiste, e da tempo, se è vero quanto affermato nel 2005 da Francesco Fonti, pentito della ‘ndrangheta che ha raccontato d'aver personalmente affondato tre imbarcazioni cariche di veleni (e probabilmente anche di materiale radioattivo) nei primi anni '90. Una di queste è con tutta probabilità proprio la nave rintracciata nel mare di Cetraro, nel cosentino.
Sono passati dieci giorni da quando, su sollecito della Procura della Repubblica di Paola, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpacal) ha filmato il relitto. Lo ha fatto a proprie spese, dopo che per ben quattro mesi le richieste d'aiuto inoltrate a Roma dall'assessore all'Ambiente della regione Calabria, Silvio Greco, erano cadute nel vuoto. E anche adesso che la nave è stata trovata e filmata, nessuno si muove.
Eppure il rischio di contaminazione ambientale è altissimo, le industrie della pesca e del turismo sono praticamente bloccate e la popolazione è spaventata.Perché quella trovata dal robot sottomarino a Cetraro, rischia di non essere l'unica "nave dei veleni" pronta a disperdere il proprio carico.
Nel 2005, infatti, Fonti disse anche di essere a conoscenza di almeno una trentina di altri affondamenti di navi cariche di rifiuti tossici fra Tirreno, Ionio e basso Adriatico, avvallando così parte dei contenuti dell'inchiesta "Navi a perdere", avviata nel 1994 dall'attuale Sostituto Procuratore generale della Corte d'Appello di Reggio Calabria, Francesco Neri. Inchiesta passata nel '96 alla Direzione distrettuale antimafia che la archiviò quattro anni dopo, proprio per il mancato ritrovamento delle imbarcazioni cariche di scorie e affondate nel Mediterraneo.
Fonti parla anche delle complicità della politica nella gestione di questi traffici. Politica che ancora oggi si fa timidamente sentire, non attivandosi con forza nel volere risolvere i tanti misteri affondati in mare.
Misteri che legano questa inchiesta anche alle morti, in Somalia, nel marzo del 1994, della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi, e del suo operatore Miran Hrovatin, in circostanze che restano oscure.
Un'indagine che interessa ‘ndrangheta, servizi segreti e politici, e che potrebbe finalmente spiegare il perché di un ventennio di morti "accidentali", di insabbiamenti e depistaggi.
A questa intricata vicenda Afriradio ha dedicato "Le navi dei veleni: dall'Italia alla Somalia", una puntata speciale di Focus alla quale hanno preso parte il magistrato Francesco Neri, il giornalista di Famiglia Cristiana Luciano Scalettari e il collega de L'Espresso Riccardo Bocca (tra i primi a raccogliere le dichiarazioni del pentito Francesco Fonti e ad occuparsi dell'intera vicenda) e l'ex membro della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, l'ex parlamentare dei Verdi, Mauro Bulgarelli.
Fonte: nigrizia
Tuesday, 29 September 2009
Regolarizzazione badanti?
"La regolarizzazione costa troppo, badante licenziata
Da gennaio assisteva una donna anziana e quando si è aperta la finestra della regolarizzazione ha chiesto alla sua datrice di lavoro di avviare le pratiche necessarie a sanare la sua posizione di immigrata irregolare. La risposta è stata negativa e, anzi, la protagonista della vicenda, una badante salvadoregna, è stata licenziata. Da qui la decisione di rivolgersi all'ufficio vertenze della Cgil che ha girato la pratica allo studio dell'avvocato Mario Berruti. Nei giorni scorsi la buona notizia: il tribunale del lavoro di Brescia ha accolto favorevolmente il ricorso d'urgenza, ordinando il reintegro della donna «risultando sufficientemente dimostrata la natura discriminatoria del licenziamento». Questa è solo una delle tante storie di colf e badanti alle prese con la le difficoltà a regolarizzarsi. Da un lato le pratiche burocratiche, dall'altro i costi della regolarizzazione. La sostanza è che in molte, anche dopo questa fase di questa regolarizzazione resteranno in nero e quindi clandestine. «Il dato bresciano è esemplificativo - ricorda il segretario organizzativo della Cgil di Brescia Damiano Galletti -: a oggi i moduli richiesti per la regolarizzazione sono 9mila e 7mila le richiesta effettivamente presentate, e questo a fronte di stime che parlano di circa 30mila badanti nella nostra provincia». E così, dopo il 30 settembre, scaduti i termini, i lavoratori stranieri che vogliono sanare la propria posizione non potranno più ottenere i benefici e saranno perseguiti per il reato di clandestinità."
Fonte dell'articolo: ASGI
Saturday, 12 September 2009
La tragedia dell’alluvione in Burkina Faso
Rimaniamo d’accordo che per spendere meno sarà lui a chiamarmi il giorno dopo, ma non sentendolo fino al tardo pomeriggio mi preoccupo un po’ e afferro il cellulare per ripetere la strategia dell’SMS. Stavolta la risposta arriva immediata: “Edo, oggi ha piovuto in maniera esagerata. I barrage hanno straripato e la città è allagata.” Affogo in un pensiero ribelle le mie paure di ragazzo occidentale che non è mai stato in Africa e comincio a capire che le cose incredibili sono all’ordine del giorno, in Burkina Faso.
[Ho] un amico che è il presidente dell’associazione “Ingegneria Senza Frontiere Firenze” e che si trova giù da oltre un mese insieme ad altri attivisti, per lavorare ad un progetto sulla qualità dell’acqua a Tougouri, un villaggio situato in una delle regioni più povere del Paese, in piena savana. Ma più nel profondo, c’è la voglia di scoprire come vive e come pensa un popolo che le statistiche ONU considerano fra i 5 più poveri del Mondo.
Chiedendosi come si chiedeva Gerardina Trovato in uno dei suoi dischi: “Chissà se si muore davvero”.
Poiché non ne capisco davvero niente di ingegneria, per il bene della gente del posto sono già d’accordo da mesi con Riccardo che arriverò solo il 2 Settembre, quando cioè il periodo di lavoro al progetto sarà terminato, e andremo a farci un giro insieme per il Paese. Ed al mio arrivo tutto sembrerebbe tranquillo. Capisco però fin dalla prima sera che non sarà un viaggio come tutti gli altri. Siamo a cena fuori io, lui e Lara, l’unica ancora rimasta dell’equipe di ISF che sarà con noi per tutta la prima parte del viaggio. La cronaca che mi restituiscono è drammatica: Quest’anno la stagione delle piogge è arrivata in ritardo e la scarsa acqua caduta fra Luglio ed Agosto – solitamente i mesi centrali – faceva già presagire un’annata difficile soprattutto nelle campagne, dove in assenza di corsi d’acqua i pochi mesi di pioggia sono fondamentali ad un’agricoltura molto spesso di sussistenza. Poi improvvisamente il 1° Settembre ha diluviato ininterrottamente dalle 04:30/05:00 del mattino fino alle 03:00 del pomeriggio, rovesciando al suolo su più o meno tutto il territorio circa 300 mm d’acqua, ovvero circa un terzo in un sol giorno dell’intera media annuale delle precipitazioni nel Burkina. Anche nei vicini Senegal e Mali sembra che si siano verificate precipitazioni di proporzioni simili.
Ad Ouagadougou – la capitale, nella quale ci troviamo – come già mi anticipava Ricca i barrage, ovvero gli sbarramenti-diga dei corsi d’acqua che ne forniscono alla città, hanno straripato allagandola e riempiendosi a loro volta di cadaveri. All’ospedale cittadino hanno praticamente dovuto allestire un reparto di rianimazione in strada, tante erano le persone che avevano bisogno di una maschera ad ossigeno. Le stime attendibili parlano di almeno 30 morti e di 150.000 sfollati, la cui abitazione è andata distrutta ed i quali hanno perso tutto quel poco che avevano. Tutto questo soprattutto nelle periferie, ed in particolare nelle così dette “zone non lottizzate”,
dove cioè le capanne di fango non sono neanche riconosciute dall’amministrazione
municipale e considerate “sicure”.
Stime che Riccardo ha potuto avere solo grazie al suo amico Ousmanne dell’ONEA, ovvero la società statale di potabilizzazione e diffusione delle acque. Perché il governo ha dichiarato solo 8 morti in tutto il Burkina – nonostante abbia ufficialmente chiesto lo stato di calamità naturale – mentre rifiuta gli aiuti volontari offerti da cittadini occidentali per evitare che la verità travalichi i confini del Paese.
Ma le stesse stime di Ousmanne sono stime al ribasso, poiché nessun ente governativo è in grado di sapere cosa sia successo veramente nelle zone non lottizzate – dove verosimilmente vive quasi la metà della popolazione reale della capitale – in quanto per lo Stato la gente che abita lì semplicemente non esiste.
Dunque è probabile che il vero numero attendibile di vittime possa superare il centinaio.
Davanti ad un buon piatto di Brochette de Capitaine (spiedone di pesce tipico locale), Ricca e Lara mi fanno sapere che hanno già parlato con Sina – la nostra guida del posto, amico e collaboratore del gruppo ISF – per andare il giorno dopo a visitare alcune delle zone della città devastate dall’alluvione. Ci sentiamo subito in dovere di rompere il muro di silenzio e menzogne innalzato dal regime, per far giungere la verità e l’informazione anche in Italia. E’ così che il 3 Settembre verso ora di pranzo ci troviamo nel quartiere di Bonam dentro uno dei tanti Kabare, ovvero le capanne dove la gente si ritrova fra amici e familiari per discutere bevendo Dolo, una specie birra di miglio, ideale per far venire la prima diarrea africana a qualsiasi occidentale. L’argomento del giorno è pressoché scontato. Sina prende la parola ed esclama: "E’ stato capace di trovare solo 25.000 posti in totale con più di 150.000 sfollati nella sola Ouaga. A lui fa comodo smaltire un po’ della popolazione di troppo nelle periferie non lottizzate. Lui vi regala le magliette in campagna elettorale e voi lo andate a votare. Ora che non avete più la casa…tenetevi pure le magliette!" .Il “lui” a cui si riferisce è Blaise Compaoré, il presidente/dittatore che dal 1987 ormai è alla guida del Burkina Faso grazie all’ultimo di una serie di golpe militari iniziati dal 1966 – appena 6 anni dopo l’ottenimento dell’indipendenza dalla Francia – al quale dal 1991 ha provato a dare una parvenza di democraticità vincendo ripetutamente le elezioni. Peccato che – mi spiega Riccardo – i 4 partiti di opposizione siano col tempo confluiti tutti nella coalizione guidata dal partito di Compaoré, anche perché chi si oppone veramente alle politiche ed alla corruzione del presidente viene con una certa facilità fatto fuori di nascosto. E pensare che a quanto si vocifera, Blaise sarebbe persino candidato a vincere il premio nobel per la pace grazie al sostegno della massoneria francese, in virtù della sua “mediazione” nel conflitto in Costa d’Avorio. Dove sotto la copertura dell’intervento diplomatico, manderebbe segretamente delle truppe burkinabé per far riempire di diamanti i cadaveri dei soldati che devono rientrare in patria. Facendo poi confluire una buona parte del bottino verso le multinazionali europee, cosa che diventa magicamente legale essendo il Burkina un paese formalmente non coinvolto in quello e in nessun altro conflitto. Prodigi del diritto internazionale.
Dopo pranzo ci spostiamo fra gli acquitrini verso il quartiere di Sondgo, poco distante dalle zone non lottizzate. Qui la furia delle acque sembra aver danneggiato o raso al suolo quasi tutto. Abbiamo modo di parlare col responsabile di quartiere, il quale ci dice: "E meno male che la pioggia è iniziata di primissimo mattino, quando un po’ di gente era già in piedi per iniziare a lavorare. Se il diluvio fosse arrivato in piena notte molti sarebbero rimasti schiacciati sotto il peso delle proprie case e capanne crollate, e saremmo ancora qui a contare i cadaveri. Gli sfollati sono rifugiati provvisoriamente dentro la scuola, ma dal 1° Ottobre ricominceranno le lezioni e dovranno andarsene. Lo Stato non sborserà un franco per la ricostruzione, gli aiuti umanitari che fa arrivare non bastano neanche a far mangiare una volta al giorno la gente qui nella scuola. Chi non potrà pagare per rifarsi la casa tornerà verso i villaggi nelle campagne, dove sicuramente farà la fame non avendo potuto coltivare niente durante la stagione delle piogge".
Mentre cerco confuso di prendere appunti, in poco tempo molta della gente presente davanti dalla scuola – decine fra uomini, donne, bambini e bambine – si è accalcata intorno a noi, pensando forse che un gruppo di occidentali potesse essere lì per risolvere la situazione. Eli, un amico di Sina ci dice:
Quando torniamo verso la macchina Riccardo sembra pensieroso. Poi a un certo punto indica con la testa la scuola ormai alle nostre spalle e mi fa: "Non voglio fare il pessimista, ma secondo me la metà di questa gente al prossimo anno non ci arriva.
principale etnia del Paese. E non potrebbe essere diversamente: siamo in “Burkina Faso”, alla lettera, la “terra degli incorruttibili” o “degli uomini onesti”. Come non a caso volle ribattezzarla dal vecchio nome coloniale di Alto Volta, Thomas Sankara – il “Che Guevara africano” – all’indomani del colpo di Stato che nel 1984 avrebbe dato tante speranze ed illusioni al popolo. Prima che il suo vecchio amico e compagno Blaise lo facesse arrestare, fucilare e poi denigrare durante tutti questi anni di potere incontrastato. Una terra degli uomini sicuramente molto diversi dai propri governanti. Anche questo ho iniziato a capirlo ben bene fin dalla prima sera a cena, quando Riccardo e Lara hanno anche deciso di svelarmi cosa fosse quella cosa incredibile che era accaduta loro il giorno prima dell’alluvione:
Nessuno degli uomini che li ha fermati e perquisiti si è mai minimamente qualificato. Ma hanno saputo dalla loro amica Serena della missione della Diocesi di Lucca che si trattava della polizia personale del presidente, con tanto di capo sceso dalla macchina. Ousmanne dice che hanno avuto paura della presenza di due occidentali e che probabilmente li hanno tenuti lì ore in stato di fermo in un punto preciso e separato perché pieno di microfoni nascosti, aspettando che si dicessero qualcosa che potesse incastrarli. Dice anche che è possibile che adesso qualcuno di loro quattro abbia il telefono sotto controllo e che se non si fossero fermati avrebbero anche potuto sparargli. Il giorno dopo Ricca e Lara vanno a riprendere i documenti, ma la telefonata del capo a Ousmanne non si fa attendere: "Ho tenuto una copia dei vostri documenti, ora siete sulla banca dati della polizia". E’ un messaggio in codice per far capire che i due occidentali hanno mancato di una “cortesia”. Il giorno dopo Ousmanne va e paga la consueta tangente.
Serena della Diocesi di Lucca dice anche che da Youtube sono spariti dei video che testimoniavano la tragedia dell’alluvione e che il regime userà sicuramente le finte promesse di ricostruzione per la campagna elettorale in vista delle elezioni che si terranno nel 2010. Il popolo burkinabé non merita tutto questo – come non lo merita nessuno – e non merita il silenzio sotto il quale la verità è stata censurata. Un popolo di cui è impossibile non innamorarsi e che ameremo ancora di più il giorno in cui sapremo che un tiranno in meno calpesta – almeno come tale – il suolo di questa Terra. Mentre rientriamo a casa in taxi dal nostro giro per le periferie, passiamo vicino ad un cantiere nei pressi di un altro quartiere distrutto. Il tassista si rivolge ironico a Sina: "Hai visto? Fra poco qui avremo un bel sovrappasso ipermoderno al posto dell’incrocio…" e poi facendosi serio "dovrebbero preoccuparsi di costruire un bel sistema di drenaggio della città fatto come si deve, è di questo che abbiamo veramente bisogno!". Allora Sina lo apostrofa sibillino: "Sai com’è, col 60% di analfabeti…ogni paese ha quello che si merita"."
Monday, 7 September 2009
Il reato di clandestinità è incostituzionale?
A chiedere l’intervento della Corte Costituzionale è stato il 31 agosto un giudice di Pesaro, durante il processo a un giovane senegalese, Ibrahima D., fermato a Fano senza permesso di soggiorno. Secondo la nuova legge, Ibrahima andrebbe condannato per ingresso e soggiorno illegale, reato che però, secondo il giudice, contrasterebbe con una sfilza di principi e norme costituzionali.
Innanzitutto, si legge nell’ordinanza segnalata oggi dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), viene meno il principio di ragionevolezza. Il nuovo reato sarebbe infatti “privo di effetti concreti”, perché “praticamente nessuno” pagherà la multa da cinque a diecimila euro, mentre l’espulsione era “già prevista e possibile anche prima”.
Violati anche il principio di uguaglianza (art.3) e di personalità della responsabilità penale (art. 27), perché il reato “presuppone arbitrariamente riguardo a tutti l’esistenza di una condizione di pericolosità sociale che, per giustificare l’affermazione di una responsabilità penale”. Responsabilità che “deve invece essere accertata in concreto e con riferimento alle singole persone”.
Sarebbe inoltre a rischio il principio di solidarietà (articoli 2 e 3, 1° e 2° comma), perché il nuovo reato provoca un “radicale mutamento nello spirito e negli atteggiamenti dei cittadini, degli stranieri regolari e della società nel suo complesso , nei confronti di persone in condizione di povertà, obiettive difficoltà di vita, bisognose di solidarietà e accoglienza”. Il contrario insomma di quella “società aperta e solidale” “voluta dai costituenti”.
Il reato di clandestinità contrasta poi con l’articolo 10 della Costituzione, perché non è in linea con “i principi affermati in materia di immigrazione nel diritto internazionale”. Infine, viola gli articoli 3 e 27, perché non prevede “la mancanza di giustificato motivo come elemento costitutivo del reato o quanto mene come esimente codificata”.
C’è n’è abbastanza, secondo il giudice di Pesaro, per sospendere il giudizio contro Ibrahima e passare la palla alla Corte Costituzionale. Facendo così tremare l’architrave della linea dura voluta da governo e maggioranza contro gli immigrati clandestini."
Fonte: Stranieri in Italia