Saturday, 16 June 2007

Zimbabwe: il Paese è sempre più in pericolo bancarotta

Il World economic forum prevede per l'Africa nel 2007 una crescita del 6,2%. Secondo l'ONU per dimezzare la povertà in Africa entro il 2015 è necessario un incremento del Pil annuo del 7%. Dopo anni di sviluppo attorno al 5%, questa impennata fa sperare bene.

Conoscendo questi dati, è ancora più drammatica la notizia del quotidiano The Times - “Lo Zimbabwe collasserà in sei mesi” - che sintetizza con efficacia dati economici inquietanti, che spingono il regime del Presidente Mugabe verso una crisi senza ritorno. Nello Zimbabwe il costo della vita è salito del 66% nell’ultimo mese. Nel mese di aprile l’inflazione ha toccato il record del 3713% (sì, avete letto bene). Secondo 34 organizzazioni internazionali, tra cui Onu, Croce rossa ed Oxfam, i servizi e il sistema commerciale sono destinati a uno “sfacelo totale prima della fine del 2007”.

Un memorandum delle agenzie internazionali prevede un ulteriore aumento della disoccupazione (oggi è all’80%) e un’esplosione di criminalità e microconflitti. La crescita media nel 2001-2005 è stata di -7,2%. L’inflazione media negli stessi anni è stata del 222,1%. 700.000 cittadini hanno avuto le case distrutte e hanno perso il lavoro nel 2005 per un diktat di Mugabe. Per l’esercito non c’è nemmeno un dollaro in cassa. Negli anni scorsi il paese ha rifiutato gli aiuti alimentari offerti dalle organizzazioni internazionali: avrebbero salvato cinque milioni di persone minacciate dalla fame, ma sarebbero stati l’ammissione di un fallimento. Sono questi i risultati di una tirannia di trent’anni. Eppure Mugabe è stato l’imperatore del sud di molti “terzomondisti”. Colonizzato da sir Cecil J. Rhodes nel 1889, lo Zimbabwe non si è rivelato ricco di oro come l’Africa del Sud. Di conseguenza Rhodes scelse la soluzione agraria: le terre passarono ai bianchi, che hanno esercitato un dominio simile a quello esercitato nel Sudafrica. La proclamazione dell’indipendenza non ha cambiato la situazione della popolazione nera, che tuttavia poteva godere del cibo prodotto nelle fattorie nelle quali lavorava.

Mugabe riuscì a inserirsi nel tema della restituzione delle terre, che in Africa hanno una valenza culturale, non solo economica. Mentre in Sudafrica Mandela ha scelto la strada del mercato “assistito”, basata sulla libera scelta del venditore e dell’acquirente, la politica adottata a Harare si è basata sulla confisca delle terre e una redistribuzione a pioggia delle stesse. La “liberazione” dello Zimbabwe nasce dalla lotta condotta dalle etnie Ndebele e Shona. Gli Ndebele erano guidati da Josuah N’komo ed erano appoggiati dall’Unione Sovietica. Gli Shona erano guidati da Robert Mugabe, leader dello Zimbabwean National Union (Zanu), ed erano finanziati dalla Cina e dalla Corea del Nord. Ancora oggi, infatti, il regime privilegia i rapporti con la Cina.
In Parlamento si discute una legge che permetta al governo di controllare telefoni, posta, e-mail.

Fonte: www.opinione.it di ieri

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