Mugabe resta presidente e comandante delle forze armate
Corriere.it
ADDIS ABEBA – Lo chiamano «accordo storico» e tutti sperano che tenga. Robert Mugabe, padre padrone dello Zimbawe, al potere dall’indipendenza nel 1980, prima come capo del governo e poi come presidente assoluto, e leader dello Zanu-Pf (Zimbabwe Africa National Union – Patriotic Front), e Morgan Tsvangirai, capo dell’opposizione del dell’MDC (Movement for Democratic Change), hanno raggiunto una accordo per formare un governo di coalizione nazionale. Terzo firmatario del patto, solennemente sottoscritto davanti a tremila persone ad Harare (nella foto una vista sulla città), Arthur Muthambara, boss di una fazione dissidente dell’MDC.
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ADDIS ABEBA – Lo chiamano «accordo storico» e tutti sperano che tenga. Robert Mugabe, padre padrone dello Zimbawe, al potere dall’indipendenza nel 1980, prima come capo del governo e poi come presidente assoluto, e leader dello Zanu-Pf (Zimbabwe Africa National Union – Patriotic Front), e Morgan Tsvangirai, capo dell’opposizione del dell’MDC (Movement for Democratic Change), hanno raggiunto una accordo per formare un governo di coalizione nazionale. Terzo firmatario del patto, solennemente sottoscritto davanti a tremila persone ad Harare (nella foto una vista sulla città), Arthur Muthambara, boss di una fazione dissidente dell’MDC.
I dettagli dell’accordo – raggiunto grazie alla mediazione del presidente sudafricano Thabo Mbeki – non sono noti. Si sa solamente che prevedono una spartizione del potere al 50 per cento tra lo Zanu-PF (con 15 ministri) da una parte e i due MDC (con 13 più 3) dall’altra. Mugabe resta presidente, capo formale del gabinetto e comandante delle forze armate; Tsvangirai diventa primo ministro, quindi presiede il consiglio dei ministri responsabile della gestione degli affari quotidiani del Paese, e guida la polizia; Muthambara, assume la carica di vice primo ministro. Così Mugabe è stato costretto a ingoiare il rospo e a vedere ridotto il suo potere, mentre Tsvangirai – vincitore delle elezioni del marzo scorso ma condannato perdente dai brogli - ha dovuto accettare la spartizione del potere. Molti sono i dubbi sulla solidità dell’accordo: lo stesso presidente dell’Unione Africana e capo di stato della Tanzania, Jakaya Kikwete, parafrasando Shakespeare, si è domandato: «Terrà o non terrà? Questo è il problema” ("Will it hold or will it not? That is the question").
Anche Thabo Mbeki, subito dopo la firma dell’accordo, ha sottolineato che «ci sono ancora alcune divergenze da risolvere per arrivare alla composizione del governo. Sono sicuro che comunque tutto andrà a posto nel più breve tempo possibile». Non è dunque ancora chiara la spartizione dei ministeri. Che ci siano vedute completamente diverse sul futuro del Paese (e anche differenze ideologiche e di stile) è emerso dai discorsi dei due leader durante la cerimonia. Entrambi hanno messo l’accento sulla bontà e sull’urgenza del governo di coalizione. Tuttavia Tsvangirai ha parlato pochi minuti andando sul concreto, sottolineando la necessità di raddrizzare l’economia per impedire che la gente muoia di fame, in un Paese che fino a pochi anni fa era autosufficiente per quanto riguarda l’alimentazione, e per frenare l’inflazione galoppante arrivata oggi a 11 milioni per cento. Mugabe, con un discorso interminabile, fuori dal tempo, interrotto talvolta dai fischi, ha continuato la sua retorica anticolonialista addossando le responsabilità del fallimento della sua politica a potenze straniere. Ha fatto un accenno anche alla sua riforma agraria con la quale ha sottratto le terre ricche e produttive alle famiglie di origine europea per distribuirle ai suoi amici e parenti che le hanno rese incolte e infeconde: «La terra dello Zimbabwe appartiene agli zimbabweani, ha sentenziato».
Qualcuno non ha resistito a trattenere un fischio. L’accordo, tra l’altro, invita l’antica potenza coloniale, cioè la Gran Bretagna, a compensare i proprietari espropriati. Ma tra questi ci sono anche non inglesi: per esempio alcuni italiani che hanno comprato le terre ben dopo l’indipendenza (alcuni da possidenti neri). Chi li ricompenserà? Ululati di disapprovazione a volontà gli sono arrivati quando si è spinto un po’ troppo in là, accusando i partiti d’opposizione e altre nazioni africane di aver usato tutti i mezzi “compreso la violenza” per conquistare il potere. Molti ricordano la faccia gonfia, insanguinata e tumefatta di Morgan Tsvangirai picchiato dalla polizia. L’MDC durante le elezioni ha perso un centinaio di sostenitori, uccisi da gruppi paramilitari legati a Mugabe.
Anche Thabo Mbeki, subito dopo la firma dell’accordo, ha sottolineato che «ci sono ancora alcune divergenze da risolvere per arrivare alla composizione del governo. Sono sicuro che comunque tutto andrà a posto nel più breve tempo possibile». Non è dunque ancora chiara la spartizione dei ministeri. Che ci siano vedute completamente diverse sul futuro del Paese (e anche differenze ideologiche e di stile) è emerso dai discorsi dei due leader durante la cerimonia. Entrambi hanno messo l’accento sulla bontà e sull’urgenza del governo di coalizione. Tuttavia Tsvangirai ha parlato pochi minuti andando sul concreto, sottolineando la necessità di raddrizzare l’economia per impedire che la gente muoia di fame, in un Paese che fino a pochi anni fa era autosufficiente per quanto riguarda l’alimentazione, e per frenare l’inflazione galoppante arrivata oggi a 11 milioni per cento. Mugabe, con un discorso interminabile, fuori dal tempo, interrotto talvolta dai fischi, ha continuato la sua retorica anticolonialista addossando le responsabilità del fallimento della sua politica a potenze straniere. Ha fatto un accenno anche alla sua riforma agraria con la quale ha sottratto le terre ricche e produttive alle famiglie di origine europea per distribuirle ai suoi amici e parenti che le hanno rese incolte e infeconde: «La terra dello Zimbabwe appartiene agli zimbabweani, ha sentenziato».
Qualcuno non ha resistito a trattenere un fischio. L’accordo, tra l’altro, invita l’antica potenza coloniale, cioè la Gran Bretagna, a compensare i proprietari espropriati. Ma tra questi ci sono anche non inglesi: per esempio alcuni italiani che hanno comprato le terre ben dopo l’indipendenza (alcuni da possidenti neri). Chi li ricompenserà? Ululati di disapprovazione a volontà gli sono arrivati quando si è spinto un po’ troppo in là, accusando i partiti d’opposizione e altre nazioni africane di aver usato tutti i mezzi “compreso la violenza” per conquistare il potere. Molti ricordano la faccia gonfia, insanguinata e tumefatta di Morgan Tsvangirai picchiato dalla polizia. L’MDC durante le elezioni ha perso un centinaio di sostenitori, uccisi da gruppi paramilitari legati a Mugabe.