Friday 28 September 2007

Ruanda: premio abolizionista dell'anno a Kagame

Non è una novità, ma è una questione che mi ha talmente sconvolto che avevo bisogno di lasciarla sedimentare. Nella mia semplicità di pensiero e di intelletto, mi sembrava ci fosse qualcosa che non tornava. Volevo cercare di capire dove fosse la coerenza, la logica.

Parlo della consegna al Presidente ruandese Kagame del Premio “Abolizionista dell'anno” da parte dell'associazione Nessuno Tocchi Caino. Se ne è occupato Romani Prodi a fine agosto: Paul Kagame ha ricevuto il premio per aver abolito nel suo Paese la pena di morte per tutti i tipi di reato, incluso quello di genocidio. Si pensi che in Ruanda negli ultimi anni le condanna a morte non venivano più celebrate, ma vi erano ben 600 persone che attendevano di esservi sottoposte, che ora vedranno la loro pena tramutarsi in carcere a vita.

Le polemiche nate sulla consegna del Premio si sono avute principalmente negli ambienti dei missionari comboniani (vedi Nigrizia). In una lettera aperta padre Boscaini (su Fatmo una sua intervista) accusa Kagame di essere un dittatore e tra i responsabili delle violenze odierne in Repubblica Democratica del Congo.

Su questo punto allAfrica ci ricorda come, a causa della difficile situazione dell'ex-Zaire, non sia stato possibile per gli agenti dell'ONU appurare e verificare queste accuse.

Le Nazioni Unite hanno anche dovute affrontare negli ultimi mesi le polemiche sulla nomina del generale ruandese Karenzi Karake, capo delle operazioni al tempo dell'invasione dell'RD Congo, come comandante aggiunto della forza ibrida ONU-UA in Darfur (era un inciso, qui, alla data 22 agosto un bell'articolo in spagnolo).

Ancora secondo Boscaini, sarebbe stato proprio Kagame ad ordire il piano di abbattimento dell'aereo presidenziale. Lo scorso novembre la magistratura di Parigi ha inviato 9 mandati d'arresto contro stretti collaboratori di Kagame con l'accusa di aver abbattuto l'aereo presidenziale il 6 aprile 1994, episodio che diede inizio al genocidio.

È però un dato di fatto che su tale crimine deve ancora essere fatta completamente luce dai magistrati, se negli ultimi mesi è stata persino indagata la moglie dell'allora presidente Juvénal Habyarimana. Infatti sono due le ipotesi che si fronteggiano: una è, come sostiene il religioso, che il missile sia partito dal Fronte Patriottico Ruandese (RPF), formato principalmente da Tutsi esiliati, l'altra invece è che l'abbattimento sia stato voluto dalla frange estremiste del Partito Presidenziale, contrarie alla ratifica dell'accordo di Arusha (1993), che prevedeva uno spazio più ampio nella vita del Paese a favore dell'RPF.

Padre Luigi le Stocco dei Padri Saveriani riprende un altro argomento di questi giorni, cioè che l'abolizione della pena di morte da parte di Kagame nasconda l'obiettivo di ottenere l'estradizione di 43.000 sospettati di genocidio fuggiti dal Ruanda.

In un'intervista a Repubblica Kagame sostiene che le critiche mossegli non sono altro che calunnie. “Il premio è per il Ruanda e non per il suo Presidente, perché l'abolizione della pena di morte è un segnale forte del processo di riconciliazione cui aspirano i Ruandesi.”

Boscaini arriva a dire che è come aver dato il premio nobel della pace a Hitler.


In un articolo l'Associazione Nessuno Tocchi Caino risponde alle accuse:

Purtroppo da tempo conosciamo le posizioni dei Comboniani su questa questione che sono molto distanti dalle nostre, ma che naturalmente rispettiamo. Tuttavia paragonare Kagame a Hitler e definirlo uno dei peggiori criminali della storia è un falso clamoroso di cui gli autori di queste dichiarazioni non possono non essere consapevoli. Il genocidio degli ebrei voluto da Hitler ha in effetti un parallelo in Ruanda. Si da però il caso che Kagame e il gruppo etnico a cui egli appartiene non fosse dalla parte dei carnefici, ma da quella delle vittime, e che solo l’intervento delle sue truppe ha posto fine al genocidio, mentre la comunità internazionale stava a guardare.

Hitler in Rwanda c’era, anzi ce n’erano vari e sono tutti quegli estremisti Hutu, appartenenti al clan del vecchio presidente Habyarimana, che hanno concepito, istigato ed eseguito il genocidio. Purtroppo le simpatie di una parte della chiesa ruandese erano per gli Hutu senza fare troppe distinzioni fra estremisti e moderati. Ancora più grave è il fatto che in qualche caso questa simpatia si sia spinta fino alla complicità nel genocidio, come è testimoniato dai processi nei confronti di religiosi che sono stati condannati non dalla giustizia dei vincitori, ma da quella di paesi occidentali.

Forse per mitigare queste gravi responsabilità, alcune componenti della chiesa, di cui Nigrizia sembra voler fare parte, si sono lanciati in una campagna forsennata per cercare di dimostrare che in Ruanda non c’è stato un genocidio ma una guerra civile, e che al limite, se proprio si vuole parlare di genocidio, c’è stato un doppio genocidio. Ciò vuol dire che le responsabilità delle milizie genocidarie Hutu e dei soldati di Kagame si bilanciano. Questa tesi è semplicemente insostenibile. In Ruanda c’è stato un solo genocidio, voluto, pianificato ed eseguito nelle forme più crudeli da un gruppo ben identificato di estrem
isti Hutu che ha coinvolto una massa sterminata di ruandesi di etnia Hutu intossicati da una propaganda frenetica e trasformati in crudeli assassini capaci di uccidere a colpi di macete centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini. I piccoli teschi spaccati dal macete che si conservano nei siti/musei del genocidio ne sono una testimonianza agghiacciante. Ignorare tutto questo orrore e definire Kagame una sorta di Hitler non è soltanto un tentativo maldestro di manipolazione della storia, è anche un insulto alle vittime e ai sopravvissuti del genocidio. E’ ugualmente un insulto a tutti coloro, sacerdoti compresi, che hanno rischiato la vita per strappare vittime designate dalle mani dei carnefici e che oggi fanno una lettura della storia molto lontana da quella di Nigrizia.

Non c’è dubbio che le truppe di Kagame hanno commesso a loro volta dei crimini e che bisognerà fare il necessario perché questi crimini siano puniti. Non c’è dubbio che migliaia di ruandesi, molti innocenti, sono stati uccisi nel corso delle guerre che hanno fatto seguito al genocidio, in Ruanda e in Congo. Ma nessuno può accusare in buona fede Kagame di avere pianificato e istigato lo sterminio degli Hutu e quindi di essere responsabile di una qualche forma di genocidio. Quanto alle responsabilità nel genocidio d
ei Tutsi e degli Hutu moderati esse sono tragicamente chiare. Il genocidio fu scatenato su larga scala solo qualche ora dopo l’abbattimento dell’aereo del Presidente Habyarimana, il che vuol dire che era stato pianificato fin nei dettagli dagli esponenti del vecchio regime molto tempo prima. Ugualmente pianificate erano state le modalità del genocidio al quale doveva partecipare il maggior numero possibile di ruandesi. La strategia diabolica degli artefici del genocidio era infatti molto semplice: se tutti sono colpevoli nessuno è colpevole. Volontariamente o involontariamente le posizioni come quelle espresse da Nigrizia portano acqua al mulino degli ultimi irriducibili artefici del genocidio che sono ancora arroccati nelle foreste del Congo.

Kagame non è certamente un angelo e il Ruanda non è il più fulgido modello di democrazia di tipo occidentale. Ma prima di salire in cattedra e dare lezioni bisogna ricordare che solo tredici anni fa un gruppo di estremisti ha scatenato in questo paese il più orribile genocidio del secolo scorso con l’intento di sterminare il gruppo etnico al quale una grande parte del gruppo dirigente attuale appartiene. Le ferite di questo orrore sono ancora aperte, e ci vorrà più di una generazione prima che si rimarginino. Forse sarebbe più saggio accompagnare il processo in corso di riconciliazione nazionale, anche se imperfetto, piut
tosto che inventare teorie che cerchino di cancellare le responsabilità che tutti abbiamo avuto nella tragedia ruandese per non avere saputo fermare il genocidio quando potevamo farlo e per avere aspettato troppo tempo prima di riconoscerlo.

Il premio di Nessuno Tocchi Caino laurea Kagame come abolizionista dell’anno, non come campione di democrazia o di difesa dei diritti umani. Il fatto che ad abolire la pena di morte e ad aderire alla campagna per la moratoria universale delle esecuzioni capitali sia stato un paese come il Ruanda con la sua tragica storia è per noi un fatto di grande valore simbolico. Per questo abbiamo attribuito il premio al Presidente Kagame e siamo fieri di averlo fatto.
Kagame è stato anche accusato di aver abolito la pena di morte solo per consentire l’estradizione dei sospetti criminali che si sono rifugiati all’estero, ma è una critica ingiusta, perché il problema della pena di morte in caso di estradizione è stato risolto in passato con l’esclusione della pena capitale a chi è stato riconsegnato alle autorità ruandesi. Da questo punto di vista, la sua abolizione in Ruanda è stato un atto gratuito e unilaterale. Inoltre il dibattito sull’abolizione ha coinvolto non soltanto le aule parlamentari, ma tutta la popolazione, dalle università fino all’ultimo villaggio del Paese.
Riconosciamo al presidente Kagame la volontà politica di aver guidato il suo Paese all’abolizione della pena di morte come tappa di un processo di riconciliazione nazionale riconosciuto e apprezzato dalla Comunità internazionale, e anche il suo impegno a partecipare della coalizione mondiale di paesi
che vogliono la moratoria universale delle esecuzioni. Questo è il Ruanda che noi abbiamo premiato: un Paese che ha deciso di fare i conti con il suo passato e di farlo interrompendo l’assurdo ciclo della violenza, dell’odio e della vendetta. Nelle situazioni “al limite”, anche le più catastrofiche, ci interessa di più cogliere i segnali e i passi, magari di un centimetro, che vanno però nella direzione giusta e che guardano al futuro, piuttosto che cristallizzare tutto e tutti al proprio passato. Il Premio a Kagame è un investimento sul futuro del Ruanda, non un riconoscimento del suo passato.

Io non ne so abbastanza e cerco di non dare giudizi affrettati. Da un lato trovo eccessiva l'enfasi dei religiosi, che sembrano mettere assolutamente in secondo piano il genocidio ruandese (nella foto), come se non fosse avvenuto. In ogni intervento, ne parlano tra parentesi, come se fosse un pezzettino da trascurare, “a confronto di ciò che han fatto i Tutsi dopo”, sembra quasi che voglian dire. Sto banalizzando, ma a sentire la verve di Boscaini si legge proprio questo tra le righe.

Sono i religiosi che hanno da i tempi della colonizzazione rafforzato la differenza tra i due gruppi etnici, privilegiando i gruppi Hutu. Essi purtroppo continuano a marcare la differenza etnica, quando non dovrebbe più essere così: ora, anche sulle carte d'identità, esistono solamente i ruandesi. E se i missionari, che si chiamano così per qualcosa, se lo ricordassero un poco più spesso, sarebbe già qualcosa.

D'altro lato, l'aver insignito Kagame di questo premio è stata certamente una mossa azzardata, forse polemica ma certamente in parte sbagliata da parte di Nessuno Tocchi Caino, che in generale ha il mio pieno appoggio. Il sospetto che l'abolizione della pena di morte in questo caso sia strumentale è troppo forte per gridare al progresso, anche se spero vivamente di sbagliarmi.

Riferimenti: mi sento di consigliare il film Hotel Rwanda (2004), il quale, oltre ad essere la ricostruzione di una storia vera, è un film fatto bene e se non ricordo male il cast è composto di attori non professionisti, ad eccezione di una persona.

Tuesday 18 September 2007

Gbagbo : "Sí alle elezioni in dicembre 2007"

CÔTE D'IVOIRE - 14 settembre 2007 –



In una intervista esclusiva accordata al settimanale « Jeune Afrique », il presidente Laurent Gbagbo rimette in questione le relazioni franco-ivoiriane.

Se si rallegra della partenza di Jacques Chirac, il presidente che l’ha « maggiormente deluso », e afferma di voler giudicare Nicolas Sarkozy « per i suoi atti », Laurent Gbagbo non dimentica, comunque, di ricordare alla Francia che « il tempo dove si poteva dire agli Africani fate questo, fate quell’altro è passato ». Il presidente ivoiriano lo invita ugualmente a ripartire da zero resettando le loro relazioni e lancia l’appello a rientrare in una “nuova era”.

Laurent Gbagbo indirizza anche un messaggio forte agli Ivoiriani. Conferma che, secondo lui, l’elezione presidenziale potrá ben aver luogo in dicembre 2007. Il presidente ivoiriano considera che di fatto tutte le condizioni sono oramai mature e riunite. « Non c’é piú alcuna ragione per non andare veloci », dichiara a chi vuol sentirlo… garantendo « la trasparenza delle elezioni agli Ivoiriani ».

In questo intrattenimento-bilancio su questi cinque anni di crisi che hanno scosso il suo paese, il presidente Gbagbo evoca anche i suoi rapporti con i suoi avversari di oggi (Ouattara e Bédié) e di ieri (Soro e Compaoré) cosí come gli "affari" : il bombardamento del campo militare francese di Bouaké (« [La Francia] vuole nasconderci delle cose ») e la sparizione di Guy-André Kieffer (« Questo non mi implica in nulla »). Ha incoraggiato ugualmente gli Africani a rinforzare le unioni regionali prendere in mano la situazione.

Monday 17 September 2007

Koroma vince le presidenziali in Sierra Leone

Le storiche elezioni in Sierra Leone si sono probabilmente concluse. Sabato 8 settembre il leader dell'opposizione Ernest Bai Koroma ha vinto il secondo turno delle presidenziali con il 54,6% delle preferenze. Lo ha annunciato oggi la Commissione elettorale nazionale del Paese. Il vice-presidente uscente, Solomon Berewa ha ottenuto il 45,4% dei voti.

Come dicevo mercoledì 5 settembre, era proprio Koroma, il leader dell'All People's Congress (APC), ad esser dato per favorito, avendo vinto anche le politiche dell'11 agosto scorso, le prime elezioni dopo la lunga guerra civile.

Il clima nel Paese però non è sereno. Negli ultimi giorni, quando ormai era evidente la vittoria di Koroma, i rappresentanti del Sierra Leone People’s Party (SLPP), il partito del presidente, hanno presentato un ricorso alla Corte Suprema per proibire alla Commissione Elettorale Nazionale di pubblicare altri risultati parziali. Il giudice della Corte Mary Sei però non ha dato seguito alla richiesta.
Nella capitale Freetown, inoltre, oggi le scuole e gli uffici sono rimasti chiusi per questioni di sicurezza e la polizia ha organizzato posti di blocco in tutta la città (AFP).

Ernest Koroma è stato insegnante e imprenditore, sia in Sierra Leone che in Gran Bretagna. La sua campagna elettorale è stata impostata sul fatto di essere un outsider della politica e di non essere compromesso con il passato di corruzione.
Egli si era candidato anche nel 2002 (nella foto di Allafrica, un manifesto elettorale di allora) ma venne sconfitto dall'attuale presidente Kabbah.
Secondo gli osservatori Koroma avrebbe beneficiato dell'incapacità del governo di assicurare i servizi sociali alla popolazione. Già nelle elezioni amministrative del 2004 crebbero considerevolmente i voti a favore dell'APC(Allafrica).

Sunday 16 September 2007

Zimbabwe: destituito dal Vaticano l'avversario più agguerrito di Mugabe

11 settembre - In seguito alla pubblicazione di alcune foto scandalo che ritraggono l'arcivescovo zimbabweano Pius Aleck Mvundla Ncube a letto con una donna, Papa Benedetto XVI ha chiesto ed ottenuto le sue dimissioni.


Da anni Ncube (in foto), arcivescovo di Bulawayo, la seconda città dello Zimbabwe, è impegnato nella lotta per i diritti umani nel suo Paese. Dal mese di marzo organizza manifestazioni contro il governo Mugabe, di cui è un fiero avversario. In luglio ha invocato l'aiuto internazionale per liberare il Paese dalla dittatura. Il 10 luglio dichiara pubblicamente che Mugabe è un megalomane.
La risposta (del governo, ndG) non si fa attendere: il 16 luglio viene accusato di adulterio dal marito della donna che è ritratta con lui nelle foto, che vengono pubblicate l'indomani.

Il papa, dopo una breve indagine, ha deciso di chiedergli le dimissioni. I pedofili, invece, li si sposta. Logiche ultraterrene, che noi umani non possiamo comprendere. Senza contare che se il papa chiedesse le dimissioni a tutti i prelati africani che violano la castità, avremmo un'Africa un pò meno cattolica.

"In Zimbabwe, tra l’altro sono severamente puniti con il carcere rapporti omosessuali o gli stupri, non i rapporti sessuali tra adulti consenzienti", spiega il prelato al corriere. "Non posso, per motivi procedurali in corte, e non voglio, per motivi personali, parlare di questa storia. Comunque sono entrati clandestinamente in casa mia e hanno piazzato delle macchine fotografiche, il che è vietato dalla legge. Poi nelle accuse di adulterio prodotte in tribunale non hanno indicato nessuna data di quelle foto. Quindi senza data, le accuse sono nulle e io non ammetterò mai che quelle foto sono vere". Nelle foto, peraltro, non è evidente che si tratti del prelato.

Nel frattempo il marito della donna ha chiesto un risarcimento di 20 mliardi di dollardi dello Zimbabwe, circa 80mila euro. Tenendo conto che l'inflazione nel Paese è al 7500%, la richiesta si apprezzerà considerevolmente.

Come sostiene il prelato, l'accusa è prettamente politica e strumentale. La sua ostilità verso Mugabe risale all'inizio degli anni '80, quando Ncube è stato testimone dei massacri ordinati da Mugabe nel Matebeland, la regione di Bulawayo. L'esercito regolare (all'epoca addestrato dai nordcoreani) massacrò nella più assoluta indifferenza internazionale almeno 20 mila persone, civili inermi e disarmati, nonostante la propaganda del regime parlasse di irregolari pericolosi e armati.

Friday 14 September 2007

Appello dei rifugiati del Darfur in Italia

Roma, 13/9/07
Come rappresentanti dei rifugiati del Darfur in Italia ci facciamo portavoci del dolore della gente del Darfur e auspichiamo venga fissata al più presto una audizione con il Governo italiano, al pari del Presidente sudanese Al-Bashir, in visita in Italia domani 14 Settembre.
Chiederemo:
- che il Governo Italiano promuova a livello europeo e internazionale un negoziato per la pace in una località neutra, scelta di comune accordo tra tutte le parti coinvolte;
- che venga accelerato il dispiegamento delle forze di pace e la piena applicazione della nuova risoluzione ONU, al fine di garantire un cessate il fuoco immediato;
- che venga promossa la costituzione di una no-fly zone sul Darfur, la liberazione dei prigionieri politici e l’avvio di un programma oil for food delle Nazioni Unite per la ricostruzione e lo sviluppo del Darfur.

Italian refugees of Darfur ask to italian governement to receive them as they receive Al-Bashir today in Rome. Despite the silence of italian media about the visit of Al Bashir to Romano Prodi and the Pope, Italians for Darfur help refugees to spread italian citizens about the drama of Darfur.

Les réfugiés italiens du Darfur demandent au gouvernement italien de les recevoir comme il reçoit Al-Bashir aujourd'hui à Rome. Malgré le silence des médias italiens sur la visite d'Al Bashir à Romano Prodi et au Pape, les Italians for Darfur aident des réfugiés à communiquer aux citoyens italiens du drame du Darfur.

Fonte: ItalianBlogsForDarfur

Thursday 13 September 2007

Profughi del Kivu, in RD Congo

Goma, 09 settembre
Sono cinquantamila le persone in fuga a causa dell'ennesima guerra del Kivu, nell'Est della Repubblica Democratica del Congo. L'intera zona, ufficialmente pacificata nel 2003 dopo quasi 10 anni di conflitto, non ha mai cessato di essere teatro di un'estenuante guerriglia tra forze regolari e ribelli. Dopo quasi sei mesi di relativa calma durante i quali gli scontri erano localizzati e sporadici, il 27 agosto è ripreso il conflitto tra ribelli ed esercito regolare.

I soldati della Fardc (esercito nazionale) e quelli agli ordini del generale Laurent Nkunda, erano stati i protagonisti dell'ennesimo tentativo di unificazione dell'armata. Attraverso un processo chiamato ‘mixage', le differenti anime della guerriglia congolese si erano raggruppate sotto un'unica bandiera. Tale tentativo è però fallito a fine agosto, quando i miliziani di Nkunda hanno abbandonato le nuove brigate ‘miste'.
Lo scorso lunedì 3 settembre, che per inciso avrebbe anche dovuto essere il primo giorno di scuola per gli oltre 500.000 studenti della Provincia, la situazione è precipitata, dopo sette giorni segnati da azioni di disturbo nei territori di Rutshuru e Masisi e da forti scontri in alcuni villaggi ad Ovest di Goma.

Tutto intorno alla città si sono aperti diversi fronti di combattimento che hanno obbligato più di 50.000 persone a fuggire verso zone considerate sicure. Alcuni hanno guadagnato la periferia di Goma, altri, tagliati fuori dalle linee di fronte, sono stati costretti a ripiegare in foresta. Le stime più prudenti prevedono l'aumento del numero di fuggitivi sino a 320.000 persone che, nelle prossime settimane, cercheranno di scappare dalle zone di guerra.
Venerdì 7 settembre i Caschi Blu delle Nazioni Unite sono riusciti ad ottenere una tregua momentanea arrestando l'avanzata dei ribelli su Goma. Gli uomini di Nkunda, infatti, come regolarmente accade, stavano avendo la meglio sull'esercito regolare, male armato, peggio addestrato e perennemente affamato. Questo non significa però che le Nazioni Unite considerino terminata la partita, tanto che quasi tutte le truppe del Palazzo di Vetro sono rientrate in città per organizzare una perimetro di protezione. Inoltre, le agenzie Onu (Unicef, Pam, Fao) hanno diramato comunicati in cui consigliano di evitare spostamenti fuori città e di ridurre quelli interni dopo il tramonto.

Accanto al bollettino di guerra, esistono numeri e dati drammatici che riguardano la situazione d'emergenza in cui si trovano decine di migliaia di persone. L'esplosione della guerra ha coinciso con i primi giorni della stagione delle piogge: coloro i quali sono scappati nella foresta si troveranno a fare i conti con situazioni climatiche proibitive. La seconda è che se non potranno tornare a breve nei loro villaggi, non potranno coltivare i loro campi perché perderanno il periodo di semina.

Appena fuori Goma, le agenzie Onu e le Ong stanno organizzando un campo per dare riparo ad una parte delle persone in fuga. E' una pessima notizia: negli ultimi quattro anni, gli episodi di guerriglia non sono mancati, ma non erano più stati attrezzati campi d'accoglienza predisposti per il medio periodo (latrine, punti per la distribuzione dell'acqua, posti letto e scuole allestite in legno e plastica). E' il segno che, probabilmente, il rientro delle famiglie alle loro case non sarà immediato.
Ad aggiungere preoccupazione a un quadro già di per sé sconfortante, pesano notizie che arrivano dai piccoli centri ospedalieri sparsi sulle colline. In tre di questi sono stati segnalati episodi di violenza etnica che non si verificavano da tempo. Al dispensario medico di Masisi, per esempio, sono state ricoverate due donne alle quali sono state amputate entrambe le mani a colpi di machete.

Fonte: Edoardo Tagliani, rappresentante Avsi nella Repubblica Democratica del Congo

Wednesday 12 September 2007

Steve Biko a trent'anni dalla sua scomparsa



"The most potent weapon in the hands of the oppressor is the mind of the oppressed."

Discorso tenuto a Cape Town nel 1971

Oggi il Sudafrica celebra il trentesimo anniversario dalla morte dell'attivista antiapartheid Steve Biko, ucciso prematuramente dalla polizia.
Classe 1946, fondò nel 1970 il Black Consciousness Movement, formato da tre organizzazioni (un movimento politico, un sindacato e una lega studentesca) che rappresentavano l'angoscia degli intellettuali africani esclusi dalla logica del regime d'apartheid vigente nello stato sudafricano.
Nel 1972 fondò, insieme ad una settantina di altri gruppi, la Black People Convention. Essa organizzò le manifestazioni di protesta di Soweto a Johannesburg. Il 16 giugno 1976 la polizia attuò una dura repressione e massacrò almeno 100 dimostranti. La rivolta ebbe risonanza ed emulazioni in tutto il Paese e si contarono un migliaio di vittime.
Il Movimento di Biko era distinto dall'African National Congress (ANC) e più estremista, ma basato sui principi della nonviolenza. Sembra però che nel 1977 egli si stesse preparando ad un incontro segreto con Oliver Tambo, futuro presidente dell'ANC e questo poteva essere motivo di preoccupazione per l'Autorità, che proprio su queste basi avrebbe potuto decidere di arrestarlo
[Missionari d'Africa].

Il 18 agosto del 1977 fu arrestato dalla polizia ed il 6 settembre venne sottoposto ad un durissimo interrogatorio, durante il quale venne pesantemente percosso. La polizia sostenne che le lesioni erano state procurate dal prigioniero stesso, che si divincolava troppo. Al peggiorare delle condizioni l'11 settembre venne trasferito in un ospedale di Pretoria, a più di 1000 km dal carcere in cui si trovava a Port Elisabeth. Egli morì l'indomani nel carcere di Pretoria. Le fonti ufficiali sostennero che la morte era stata causata da un prolungato sciopero della fame. La giornalista Helen Zille (capo attuale del principale partito d'opposizione, l'Alleanza Democratica) riuscì però a dimostrare che la morte era stata provocata dalle torture.
Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU decretò con voto unanime l'embargo militare contro il Sudafrica.

Tutt'oggi egli è un simbolo per i giovani sudafricani, secondo solo a Mandela nel rappresentare la fierezza nera e l'avversione alle discriminazioni razziali. Il problema, semmai, come sostiene Kopano Ratele, professore all'Università dell'Africa del Sud, è che le sue idee non hanno più influenza nei processi di eleborazione delle politiche nel Paese, soprattutto in quanto il partito più vicino ai suoi orientamenti è scarsamente rappresentanto in Parlamento. È però da rilevare la centralità che assume il concetto di "Rinascita nera" per l'attuale Presidente Thabo Mbeki.

Oggi per la ricorrenza del trentennale il Presidente sudafricano Thabo Mbeki terrà un discorso all'Università di Città del Capo e a Johannesburg si farà una manifestazione in suo onore.

References: I write what I like, libro postumo che raccoglie i suoi scritti, il film sugli ultimi giorni di vita, Cry Freedom del regista inglese Richard Attenborough (1987) e la canzone Biko del 1980 di Peter Gabriel, che venne vietata in Sudafrica.

Sunday 9 September 2007

Legislative in Marocco: vittoria ai conservatori

Foto scattata a Rabat il 7 settembre. Fonte: Washington Post
Venerdì si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Parlamento marocchino. Le proiezioni danno un'affluenza molto bassa, al 37% (Al Jazeera). Questo problema si presentò in misura minore anche durante la precedente chiamata alle urne, in cui solo il 52% degli aventi diritto si recò a votare. Secondo Michel Herr di Radio France Internationale la costante (e fortemente problematica, a mio avviso) astensione è legata principalmente alla mancanza di credibilità del Parlamento e dei politici.
D'altra parte secondo gli osservatori internazionali è stata buona la trasparenza delle procedure, giudicante complessivamente positive. I partiti principali che si sono contesi il campo sono il Partito dell'Indipendenza (Itiqlal), di stampo conservatore, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (PJD), di stampo islamista, il Partito Socialista ed il Movimento Popolare Berberofono. Il Ministero ha già pubblicato dei risultati semidefinitivi e sembra che la vittoria sia andata al partito conservatore, che ha ottenuto 52 seggi. I rappresentanti (guidati dal leader Sa'ad Eddine Othmani) del PJD sostengono però che si sarebbero verificati brogli elettorali. Tale forza politica si è aggiudicata 49 seggi. Questi due partiti sono anche quelli che hanno guadagnato posizioni rispetto alla tornata del 2002 (quando ottennero rispettivamente 47 e 42 seggi).

I partiti che invece hanno visto diminuire le preferenze loro accordate rispetto alle precedenti elezioni sono il Movimento Popolare Berberofono (MP), con 43 seggi e quella socialista (USFP) con 31 seggi (ne ottenne 50 nel 2002).

Secondo Michel Zerr (nell'articolo di RFI), anche se vi è stata un miglioramento delle performance della formazione islamista, non si può certo parlare dell'ampia vittoria che si prefigurava prima delle elezioni, quando sembrava che il PJD sarebbe riuscito ad aggiudicarsi fino a 70/80 seggi.

Secondo Al Jazeera sono state votate solamente 34 donne su 325 seggi (10,5%). Dato sconcertante? Beh, in Italia, in cui in base ai più tipici luoghi comuni le donne sarebbero molto più libere rispetto a quelle dei Paesi dell'area del Maghreb, esse non sono certo più rappresentate: 8,1% al Senato e 11,5% alla Camera nel 2001 e 14,0% e 17,1% rispettivamente nel 2006 (ISTAT).

Friday 7 September 2007

16/09/2007 - Darfur day

Immagina.


Anche se non sarà mai come averlo vissuto.


Immagina.

Nel deserto, la notte, ti svegliano: attaccano il tuo villaggio. Lì hai lasciato i tuoi figli, tua moglie, la tua storia. Bruciano la tua casa. Stuprano tua moglie. Armano tuo figlio. Cancellano la tua storia.

Sparano.

Non bastano le urla terrorizzate dei bambini, l’odore acre di feci e urine liberate dalla paura e del sangue che impasta la terra, il rumore – tanto rumore- di passi, spari, crolli, legna e carne che brucia, niente ferma la mano dei boia.

Corri.

Ti rendi subito conto –forse è solo istinto – che le parole hanno un senso solo se ascoltate.

Allora imbracci il bastone, come fosse un fucile. Corri, con la speranza di poter ancora salvare tua moglie, tuo figlio, non importa la storia. E preghi.

Ma sei lontano, stringi il tuo bastone.

I janjaweed corrono già verso un altro villaggio.


Saremo a Roma, il 16 Settembre in Piazza Farnese, per dire "fermiamo il sangue in Darfur"!

ore 10: Marcia dei rifugiati. Presenti Monica Guerritore, Toni Capuozzo, Tiziana Ferrario

ore 11: mostra fotografica, interventi di associazioni, ospite Presidente Commissione Esteri del Parlamento U. Ranieri

0re 13: concerto dei Marcosbanda (jazz funk rock), vincitori premio "Voci per la Libertà" 2007


ItalianBlogsForDarfur

Thursday 6 September 2007

Compaoré giudica imperativo rispettare il calendario

Costa d’Avorio, 4 settembre 2007

Il presidente burkinabese Blaise Compaoré, mediatore della crisi della Costa d’Avorio, ha giudicato martedí a Ouagadougou (capitale del Burkina Faso) “imperativo” il rispetto del calendario stabilito per “l’organizzazione di elezioni credibili” in Costa d’Avorio.

« I progressi innegabili realizzati per un’uscita dalla crisi devono essere consolidati quotidianamente e necessitano di un conseguente accompagnamento », ha dichiarato Compaoré, presidente del Comitato di valutazione e accompagnamento dell’accordo di Ouagadougou.

« Diventa imperativo mantenere una veglia costante sugli impegni presi e seguire il cronogramma stabilito al fine di raggiungere l’organizzazione di elezioni credibili », ha proseguito il mediatore della crisi della Costa d’Avorio all’apertura di una riunione di valutazione sul seguito dell’accordo.

Il calendario di applicazione di questo accordo inter-ivoiriano firmato il 4 marzo nella capitale burkinabese, prevedeva di concludere il processo di pace in 10 mesi, con le elezioni in dicembre prossimo, ma da allora ha accumulato ritardi.

Il 12 giugno, M. Compaoré aveva stimato che le elezioni generali, uno dei principali punti del processo di pace, costantemente respinte dalla fine del 2005, potrebbero avere luogo il primo trimestre dell’anno 2008.

M. Soro, capo della ribellione delle “ Forces Nouvelles ” nominato Primo ministro in marzo, è arrivato nella capitale burkinabese a metá pomeriggio per incontrare il presidente Compaoré.

La riunione del Comitato di valutazione, che deve prendere nella serata, era sospesa durante il tempo della visita, ha costatato un giornalista dell’AFP.

L’altro principale firmatario dell’accordo, il presidente Laurent Gbagbo, era rappresentato a Ouagadougou da dei delegati.

Secondo M. Compaoré, “ “les audiences foraines”, il ridispiegamento di sotto-prefetti, la sicurezza del Primo ministro, il servizio civico e i gradi militari” saranno i principali temi evocati martedì dagli attori della crisi “Ivoiriana”.

L’accordo di Ouagadougou ha posto le premesse per un inizio di normalizzazione della sitazione della Costa d’Avorio, con, come sappiamo, l’eliminazione della “zone de confiance” sotto il controllo internazionale che separava il nord dal sud, e un inizio di ridispiegamento dell’amministrazione nazionale nel nord.

Non è, tuttavia, ancora permesso partire con le operazioni di identificazione della popolazione e di disarmo.

Il processo di pace ivoiriano mira a riunificare un paese diviso in due dal settembre 2002 tra nord, controllato dalle FN, e sud rimasto sotto l’autoritá del presidente Gbagbo. Le due fazioni hanno smesso di affrontarsi militarmente alla fine del 2004.

Fonte: jeuneafrique.com

Posted by Alain

Collaborazione

È con immenso piacere che vi informo dell'arrivo di Alain, il nuovo collaboratore di questo blog. In realtà anch'io so poco di lui, tranne il fatto che è di Verona e che ha vissuto dieci anni in Costa d'Avorio. Ma passo subito a postare il suo primo contributo.


Grazie Alain!


Per chi volesse saperne di più, questo è il suo blog.

Wednesday 5 September 2007

Sierra Leone in attesa del secondo turno elettorale

Sarà questo sabato il secondo turno della presidenziali in Sierra Leone, che vedrà il ballottaggio tra Solomon Berewa (nella foto a lato), attuale vice-presidente, e Ernest Koroma, il leader del partito che ha vinto le elezioni politiche, l'All People's Congress (APC), che viene dato per favorito.

Secondo l'articolo del Cameroon Tribune (in francese, riportato qui sotto), però, non sarebbe stato molto pacifico il clima durante il primo turno: sono stati una trentina i feriti in tutto il Paese.

L'attuale presidente, Ahmad Tejan Kabbah (che sta terminando il secondo mandato e non può candidarsi) ha reagito al clima di instabilità minacciando la dichiarazione dello stato d'emergenza. Come dicevo lunedì, è la prima volta dalla fine della guerra civile che le autorità del Paese affrontano delle elezioni autonomamente, senza il supporto degli organismi internazionali.

I due sfidanti hanno fatto un accordo domenica scorsa al fine di garantire lo svolgimento del secondo turno in un clima pacifico. In base a tale accordo, entrambi hanno rinunciato alle milizie private. Domani verrà organizzato un incontro tra i due candidati nella capitale del Paese.

Dal Cameroon Tribune, articolo di Raphael Mvogo del 05/09/07

Sierra Leone : compromis pour sauver la paix

Suite aux violences enregistrées pendant la campagne, les deux protagonistes du second tour ont conclu un compromis pour éviter le pire.

Ernest Koroma n’en est plus simplement à caresser le rêve. Principal opposant du chef de l’Etat sortant, Ahmad Tejan Kabbah, frappé par la limite des mandats présidentiels à deux, le leader du Congrès de tout le peuple (All People’s Congress, APC) est convaincu que son heure de gloire est arrivée. Dans le duel au sommet qui l’oppose au vice-président sortant, Solomon Berewa, pour le second tour de l’élection présidentielle sierra-léonaise prévu samedi prochain, il apparaît le mieux placé.

Au premier tour du scrutin le 11 août, Ernest Koroma, 54 ans, était arrivé en tête avec 44,3% des suffrages. Sa formation était également sortie vainqueur des législatives couplées à cette élection, en remportant 59 des 112 sièges du parlement. Candidat du parti au pouvoir, le Parti du peuple de Sierra Leone (Sierra Leone People’s Party, SLPP), Solomon Berewa, lui, avait recueilli 38,3% des voix et s’était logé à la deuxième place à la présidentielle. Et s’agissant du score du SLPP aux législatives, il avait été de 43 sièges de députés remportés.

Dans la perspective du sprint final qui devra les départager dans trois jours, les deux camps se livrent un combat sans merci. La violence s’est, à cet effet, invitée à la campagne électorale, laissant planer le spectre d’une nouvelle escalade sanglante, synonyme de retour des vieux démons qui ont plongé la Sierra Leone dans l’horreur, dix ans durant, de 1991 à 2001. A cause des heurts survenus à Freetown et dans d’autres villes, le pays tout entier a ainsi retenu son souffle la semaine dernière, où une trentaine de blessés ont été enregistrés.

Les deux camps se rejetaient la responsabilité des troubles. L’on frôlait dès lors une crise politique majeure. Pour tenter de calmer la situation, le président Ahmad Tejan Kabbah a dû réagir en excipant la menace de l’état d’urgence. C’est la première fois depuis la fin du conflit civil que les autorités sierra-léonaises assurent seules la surveillance des élections. Les précédents scrutins, la présidentielle et les législatives de mai 2002, et les élections locales intervenues deux ans plus tard, avaient été organisés sous la supervision des Casques bleus de la Mission des Nations Unies en Sierra Leone (MINUSIL, forte de 11.000 hommes), qui se sont retirés en décembre 2005.

Ernest Koroma et son challengeur Solomon Berewa se sont, du reste, accordés à enterrer la hache de guerre en concluant dimanche dernier, lors d’une rencontre avec le chef de l’Etat, un accord visant à garantir la paix lors du second tour de la présidentielle. D’après ce compromis, les deux concurrents se sont engagés à renoncer à l'emploi de milices privées pour leur sécurité. Ils prévoient d’organiser demain, dernier jour de la campagne, un meeting commun à Freetown, la capitale du pays.

Monday 3 September 2007

Elezioni in Sierra Leone

Per la Sierra Leone l'11 agosto è stata una data storica: si sono tenute le prime elezioni organizzate autonomamente dalla fine della guerra civile. Dopo che le forze delle nazioni unite hanno lasciato il Paese nel 2005, questo costituisce un altro momento fondamentale per il ritorno alla normalità.
Il tasso di partecipazione alle elezioni è stato del 75,4%, segno della voglia di rinnovamento della popolazione. Inoltre secondo gli osservatori locali, le elezioni si sono svolte in un clima di libertà e in un contesto pacifico.
Ha vinto di misura il partito d'opposizione All People's Congress (APC) aggiudicandosi 59 seggi su 112 per quanto riguarda le elezioni parlamentari. Il partito di governo, il Sierra Leone’s people party, ne ha ottenuti solamente 43.

Per le presidenziali la vittoria del primo turno è andata al leader dell’Apc Ernest Koroma (nella foto), con il 44,3% delle preferenze; Solomon Berewa, attuale vice presidente, ha ottenuto il 38,3% dei voti. In autunno vi sarà il secondo turno.