Monday 18 July 2011

AUGURI MADIBA

Per celebrare i 93 anni di Nelson Mandela.

Wednesday 30 March 2011

Le mani sul Nord Africa


«Alimentare i conflitti, “balcanizzare” il territorio, lasciare rovine, frammentazioni etniche e sociali, affidarsi a emergenze umanitarie… Tutto ciò consente agli squali di abbuffarsi copiosamente». È un passaggio dell’editoriale di Nigrizia di aprile. Che anticipiamo.

Tale è la confusione sotto il cielo del Mediterraneo che ogni valutazione è un azzardo. Ed è in tempi di sbandamenti come questi che anche il vocabolario perde la bussola. Non scorre neanche più un brivido nella mano, quando si abusa dell'ossimoro più ingombrante: "la pace armata". O quando si definisce come "politica di pace" quella delle cannoniere e dei Tornado.

E i civili sotto le bombe del despota? Dovevamo ignorare il loro grido di dolore e le loro richieste di aiuto? Ma il paradosso dei paradossi, che anche i più "volenterosi" nel sostenere l'attacco alla Libia del tiranno Gheddafi non riescono a sciogliere, è che si è voluto impedire il massacro di civili attraverso massacri di altri civili. Un circolo vizioso da cui non si esce. Perché sono le premesse a essere fragili.

Per raccontare quello che sta accadendo in Libia e nel Maghreb, si è inflazionato il termine "alba". "Alba della democrazia", per descrivere i collassi dei regimi tunisino ed egiziano. "Alba dell'Odissea", per battezzare l'operazione militare contro Gheddafi. Brutta immagine, questa seconda. Ma forse spietatamente sincera. Odissea, per indicare un viaggio lunghissimo, pieno di rischi; alba, per dire che siamo solo all'inizio e che nessuno sa quanto lontana ancora sia la Itaca di pace.

E se fossimo, invece, ancora nel cuore della notte? Se il film che si gira non fosse una "prima", ma il solito remake? In fondo, quello innescato a Tripoli è un meccanismo della storia che si ripete in modo ossessivo. Sempre uguale a se stesso.

Si armano i regimi, grazie all'afflusso dei capitali globali di paesi assettati di risorse. Si firmano accordi economici che avvantaggiano le élite, trascurando le disuguaglianze sempre più marcate che gli stessi accordi generano. Si ignorano le tensioni sociali, economiche, politiche e ambientali prodotte nei paesi più deboli dai patti vergati dai regimi con le nazioni ricche. E quando le tensioni arrivano al punto di rottura, o quando esplodono del tutto, si interviene con le bombe. I regimi, contro la propria popolazione. Gli ex "amici", contro il dittatore e a favore dei civili. I quali, comunque vada, restano sotto le macerie, uniche vere vittime.

Alimentare i conflitti, "balcanizzare" il territorio, lasciare rovine, frammentazioni etniche e sociali, affidarsi a emergenze umanitarie... Tutto ciò consente agli squali di abbuffarsi copiosamente. Nascono nuovi affari. Perché, nel caos, è più facile costruire nuovi equilibri. Fino a quando riemerge un altro rais, con il quale stringere altri patti. E la giostra ricomincia. Fino alla bomba successiva. E alla selva di nuovi commenti scandalizzati.

Lo chiamano "sano realismo". Che, per le diplomazie di mezzo mondo, significa solo badare al proprio business. Dobbiamo accettare passivamente di far parte di questo teatrino dei burattini?

La verità è che la crisi libica, come molte altre crisi in giro per il mondo, non lascia spazio a soluzioni soddisfacenti. I rimedi non sono facili. Ma ciò che è apparso evidente a molti, da subito, è che quell'intervento militare occidentale non aveva solo una natura umanitaria. Velava ambizioni egemoniche e il desiderio di mettere le mani sulle risorse energetiche e strategiche dell'area. E di ripristinare una certa influenza in Africa. Per Sarkozy, il vero motore mobile dell'azione guerriera occidentale, si è trattato di restituire alla Francia una posizione di leadership nel Mediterraneo e nell'Africa Centrale. Per Washington, con il battesimo di fuoco di Africom - il comando per le operazioni statunitensi nel continente - di lanciare un messaggio alla Cina, l'altro grande competitor in terra africana.

Siamo ancora in una visione geopolitica statica, perché mira all'autoconservazione dei rapporti di forza già scritti. Contrastati dall'Unione africana (Ua) e da diversi presidenti del continente, i quali temono che un'ingerenza militare occidentale possa tradursi in una presenza di lungo periodo nell'area. Un riposizionamento delle grandi potenze coloniali in Africa.

Tuttavia, anche qui la confusione è massima. E numerose le gimcane etiche. Il lamento postumo dell'Ua, ad esempio, è compatibile con il silenzio che ha accompagnato le rivolte libiche e la repressione gheddafiana? La voce dell'Ua è da sempre molto flebile. Soprattutto quando si tratta di criticare o condannare chi la foraggia. Libia, Angola, Nigeria, Egitto e Sudafrica finanziano il 75% del bilancio dell'Unione africana. Non solo. I dittatori e gli autocrati che governano quell'istituzione potranno mai condannare un loro simile? Il quietismo tirannico che regna nelle stanze di Addis Abeba è l'humus ideale dove può crescere il nuovo colonialismo occidentale o asiatico.

Se Francia, Inghilterra, Usa, Israele, Cina, Brasile... possono fare la voce grossa nel continente e muoversi militarmente, è perché trovano le porte spalancate. Un neocolonialismo che denuda la fragilità delle istituzioni africane, infervorate a gridare "No, all'invasore". E silenti nel condannare i despoti.

Nigrizia - 24/03/2011 tratto da www.nigrizia.it

Thursday 11 November 2010

Elezioni presidenziali in Tanzania


Il 31 ottobre Jakaya Kikwete è stato confermato per un secondo mandato presidenziale. Finiscono a distanza i principali candidati di opposizione: Wilbrod Slaa e Ibrahim Haruna Lipumba. Slaa contesta irregolarità nel conteggio delle schede. Regna la calma anche Zanzibar, dove il voto si è svolto regolarmente.

Fonte: nigrizia, New York Times,

On 31st october Jakaya Kikwete was re-elected as the President of Tanzania with the 61% of votes. The other candidates collected less votes: Wilbrod Slaa got only 26% and contested irregularity in the votes' count, that took an entire week. All was pacific in Zanzibar, where voting was regular.

Saturday 6 November 2010

XXX Festival del cinema africano

Si terrà a Verona dal 12 al 21 novembre il XXX festival del cinema africano. In 30 anni il cinema africano è cambiato notevolmente. I suoi autori partecipano regolarmente a competizioni internazionali segnando la storia del cinema con un impronta personale artistica di alto livello.

Durante questo stesso arco di tempo il Festival di Verona ha avuto il merito di proporre al suo pubblico il meglio della produzione del cinema d’Africa accompagnata da incontri, percorsi didattici e contatti con autori, attori e critici.

In occasione del 30° il festival si pone l’obiettivo di riflettere e fare il punto sul cinema africano proponendo al pubblico e al mondo delle scuole una sintesi storica e in dibattito aperto al futuro della 7° arte made in Africa. Lo farà invitando gli autori contemporanei e i critici che hanno fatto la storia del Festival di Verona.

Intorno a questa riflessione sulla storia del cinema africano verranno organizzati dibattiti e incontri e in particolare proiezioni del “best of” di quest’ultimi 30 anni di produzione cinematografica.

In quest’anno, in cui la maggior parte dei paesi africani festeggiano la loro indipendenza, il Festival si associa al processo che vuole rendere il cinema e la cultura africana sempre più indipendente, di qualità e capace di innovazione.

Friday 5 November 2010

Africa-Italia. Scenari migratori. Dalle migrazioni alla crescita del continente

Nei Paesi africani vive attualmente quasi un miliardo di persone (il 14,8% della popolazione mondiale). Secondo le stime delle Nazioni Unite, mentre la quota della popolazione europea scenderà, dal 22% raggiunto nel 1950, a circa il 7% nel 2050 (circa 700 milioni di persone), gli africani a metà secolo arriveranno alla soglia dei due miliardi, con un’incidenza di quasi un quarto sulla popolazione del pianeta, continuando anche a distinguersi per l’età media più bassa (attualmente di 19 anni). Nel frattempo aumenterà l’urbanizzazione, che già coinvolge tra il 40% e il 70% della popolazione africana a seconda dei contesti, mentre la mancata parallela crescita delle risorse economiche e sociali determinerà un peggioramento delle condizioni di vita, con riflessi inevitabili sui flussi migratori, già ora particolarmente intensi.
Le migrazioni forzate o volontarie sono, innanzi tutto, interne al continente..

Tratto da: scheda sintetica Africa-Italia scenari migratori.
Approfondimenti: Africa-Italia scenari migratori, Dossier Statistico Caritas Migrantes 2010,

Thursday 4 November 2010

Petizione per cancellare la condanna a morte dei bambini del Darfur

Italians for Darfur Onlus



2 Novembre 2010:

"Ci risiamo. Il 21 Ottobre, la Corte Speciale ha condannato a morte altri quattro bambini, ritenuti colpevoli di aver partecipato all'assalto di un convoglio in Sud Darfur, nel maggio 2010. Solo due minorenni sono stati sottoposti a visite mediche per verificarne l'età, come prevede il Sudanese Child Act, approvato dallo stesso Governo, che proibisce l'esecuzione di minori di 18 anni.
Firma anche tu l'appello di Italians for Darfur, affinchè la pena di morte venga commutata in altra pena. Circa 15.000 persone lo hanno già fatto in sole tre settimane, in occasione della precedente denuncia di Italians for Darfur, consacrandone il successo con la sospensione della pena. Anche questa volta, speriamo, grazie alle vostre firme, di recapitare in breve tempo il nostro appello alle autorità sudanesi".

Antonella Napoli, Presidente di Italians for Darfur

Con questo appello chiediamo al Governo sudanese di sospendere la sentenza ma anche di approfondire le responsabilita' del coinvolgimento di questi bambini in azioni di guerra.

Ferma la mano del boia, firma l'appello di Italians for Darfur.

Condividi e fai firmare il link seguente tra i tuoi amici e sui maggiori siti e social network italiani:

http://www.italianblogsfordarfur.it/petizione/

Friday 29 October 2010

Nigeria: sgomberi di massa a Port Harcourt

Amnesty con un rapporto (EN) denuncia le demolizioni degli slum che stanno avvenendo sul lungo mare di Port Harcourt, nella zona ricca di petrolio del Delta del Niger, che stanno portando ben 200.000 persone a rimanere senza casa, se non verrà trovata per loro un'alternativa. Il Piano per lo sviluppo urbano, che ha causato le demolizioni, ha generato contestazioni violente, finite spesso in tragedia.

An Amnesty International's Report has denounced forced mass evictions in Port Harcourt waterfront, in the oil-rich Niger Delta. A total of 200.000 people will become homeless if the government won't offer them an alternative. Plans for urban development and slum demolition have been violently contested in Port Harcourt and several civilians have been killed.

Per approfondire: Amnesty, BBC.

Wednesday 27 October 2010

Rwanda: Ingabire in pericolo



Il 14 ottobre Victoire Ingabire, oppositrice politica, è stata arrestata dal regime con l’accusa di «affiancare dei terroristi» ed è tenuta in carcere in condizioni disumane. Ella denuncia il sistema di "apartheid" che vige nel Paese.

Per approfondire: New York Times, Nigrizia,

The 14th october Victoire Ingabire, opposition leader, has been jailed in inhuman conditions by Kagame regime, on charge of joining terrorist group. She expose the "apartheid system" that is in force in Rwanda.

To know more: New York Times, Nigrizia,

Tuesday 18 May 2010

Attentati a Kigali

Altri due attentati nella capitale del Ruanda. Domenica le esplosioni di alcune granate, avvenute in quartieri molto frequentati, hanno provocato la morte di una persona e il ferimento di altre 28. Con le stesse modalità erano avvenuti attentati in altre due occasioni, in febbraio e marzo, che videro la morte di due persone.

Fonte: jeune afrique

Monday 17 May 2010

Rimesse africane in calo

Vi sarebbe stato, nel 2009 e rispetto al 2008, un calo delle rimesse dall'Italia e verso l'Africa inviate dai migranti che si aggira intorno al 10%.

"Questo calo delle rimesse sarebbe dovuto, secondo agli esperti, non solo alla crisi economica che sta mettendo a dura prova i bilanci dei migranti, ma anche al fatto che per molti stranieri (pure africani) quella di vivere in Italia potrebbe rappresentare una scelta di lunga durata. E non c'è dunque la frenesia di mandare a casa una fetta cospicua del proprio reddito in vista di un ritorno affrettato al paese d'origine."

Ora a me sembra certamente verosimile l'ipotesi, purtroppo, che la crisi economica sia intervenuta energicamente a rallentare il flusso delle rimesse. D'altra parte dubito che proprio nel 2009 (e non nel 2008) molti migranti abbiano deciso di stabilirsi in Italia in un'ottica di lunga durata, nel periodo in cui tantissimi migranti hanno perso il lavoro e faticano più degli italiani a trovare altre soluzioni lavorative stabili (vedi anche questa ricerca della Fondazione Leone Moressa). D'altra parte il 2009, dal mio personale punto di vista, è stato caratterizzato da un aumento dei ritorni in patria (anche temporanei) di molti migranti che, a fronte della perdita del lavoro, percepivano come un costo troppo esoso rimanere nel nostro Paese.