Tuesday 26 December 2006

Le corti islamiche arretrano in Somalia

Somalia: Islamists Lost All Central And Bia Provinces in Somalia

December 26, 2006

Aweys Osman Yusuf (Mogadishu)

Somalia's Islamic Courts Union have deserted several strategic towns in central and southern parts of the country. Islamists in Mogadishu said they retreated from Bur Hakaba, Dinsor and Daynunay near the government base of Baidoa to change military tactics.
Ethiopian troops, accompanied by government forces, occupied all strategic towns: Galkayo, Bandiradley, Adado, Buloburte and Baledweyn lying in central Somalia. Apparently, Islamists have also admitted they lost Bai provincial towns and tiny villages near the main town of Baidoa to Ethiopian backed government troops.

Witnesses say Hundreds of Ethiopian troops along with their tanks have taken up Adado in Galgadud region, central Somalia.
No Ethiopian air bombardments have been reported on Tuesday.
Sheik Ibrahim Suley, Islamic Courts spokesman, said the ICU fighters have left Bur Hakaba, stating the Ethiopian invaders would regret. "The Ethiopians have attacked our country and they will lose," he said.
Residential militias in Abudwaq have taken control of the town on Monday evening after Islamist fighters left the town in fear of Ethiopian military attacks.
Islamic Courts Union seized the capital Mogadishu in early June this year after forcefully evicting US-backed warlords from Mogadishu and then expanded their military might into swathe of central and southern parts of Somalia, threatening they would also capture the only town under the government control.
Reliable sources in Kalkayo indicate that at least 50 Islamists were brought to the town of Kalkayo and slain by the Ethiopian forces that seized the town from the ICU fighters. Local ordinary and business people have organized mass burial for the dead.
Several hundred people have been killed in the duels between the Islamic Courts Union fighters and the Ethiopian military forces backing the Somali transitional government forces.
The ICRC, that waged relief operations in southern Somalia, urged the fighting parties in the country to protect the civilian population from being victims of war. Thousands of people have fled their homes as the fighting continues.
The Red Cross said it was treating 445 people, including combatants that were injured in the ongoing war in Somalia. Somalia has been without functioning government since 1991.

Fonte: www.allafrica.com

Friday 22 December 2006

risultati definitivi delle elezioni in Gabon

LIBREVILLE, Gabon: The ruling party in Gabon easily maintained its legislative majority in Sunday's vote, according to official results announced late Thursday.
President Omar Bongo's ruling Gabonese Democratic Party won 80 of the National Assembly's 120 seats, Minister of State and Interior Andre Mba Obame said on state television.
Still, the figure is down from previously, when the Gabonese Democratic Party held 91 seats.
Seven seats still remain to be decided because of logistical problems in some areas with the balloting. Voters will decide these seats on Dec. 24, the government said.
Bongo has kept a tight grip on power in the oil-rich former French colony since he became president in 1967. His ruling party has dominated the country's parliament for decades. Opposition parties were only allowed in 1990, amid a wave of pro-democracy protests. National Assembly elections are normally held every five years.

The country's legislative branch is made up of the National Assembly and a smaller Senate, which is elected by regional representatives.

fonti: international herald tribune, peacereporter

Monday 18 December 2006

vignetta per il Darfur


Botswana - I Bushmen possono tornare nella loro riserva del Kalahari

I Bushmen, gruppo etnico antichissimo, possono tornare nella riserva del Kalahari dalla quale erano stati cacciati nel 2002








Qui sopra, Roy Sesana , leader della battaglia legale, mercoledì 6 dicembre 2006.
Ciò è avvenuto grazie ad una lunga battaglia legale terminata con la sentenza storica del 6 dicembre scorso. Il processo più lungo e più costoso della storia del Botswana, si è concluso con il riconoscimento del diritto per 240 Bushmen di tornare alla loro terra, dato che il giudice ha convalidato l'illegalità e l'anticostituzionalità dell'azione governativa precedente.

A partire dal 1997, infatti, il governo aveva iniziato a spostare un migliaio di indigeni del Kalahari, incentivando le persone, attraverso aiuti economici e bestiame, ad andarsene volontariamente dalla Central Kalahari Game Reserve, il territorio in cui vivevano. Dal 2002, inoltre, sono state prese misure ulteriori, come la chiusura dei pozzi e l'eliminazione dei servizi sociali nelle zone abitate dagli indigeni, al fine di obbligarli ad andarsene definitivamente.

Il governo reclamizzava la necessità di 'ammodernare' una parte della popolazione "che vive come all'età della pietra nell'epoca dei computer" (Festus Mogae, presidente del Botswana). Secondo l'ONG inglese Survival International, invece, lo spostamento forzato è stato motivato dalla presenza di diamanti nel sottosuolo. L'ONG ha promosso il boicottaggio dei diamanti del Botswana, anche attraverso il film-denuncia "Blood Diamond" uscito nei giorni scorsi negli Stati Uniti.

L'ONG, dopo le dure accuse da parte del governo africano contro la dura campagna, ha dichiarato che interromperà il boicottaggio se il governo applicherà rapidamente la decisione del Tribunale.

Al processo erano presenti molti Bushmen. Tale gruppo etnico, i cui componenti sono detti anche anche Basarwa o San, viene fatto risalire ad almeno 22000 anni fa e conta presenze oltre che in Botswana, anche in Sudafrica e Namibia. Sono circa 100000 e circa la metà vive in Botswana. Vivono tutt'oggi di caccia e raccolta e vennero confinati e protetti nella riserva del Kalahari dagli inglesi nel 1963, al fine di preservarli dal rischio d'estinzione.

Tutto risolto, quindi? In realtà no, in quanto il giudice non ha stabilito il ripristino dei servizi essenziali nella regione e questo potrebbe rendere inefficace la decisione del tribunale, dato che non assicura la possibilità del ritorno nei territori per gli antichi abitanti.

Nei nuovi villaggi, intanto, il flagello è l'acolismo ed è comparso anche il fantasma dell'AIDS.

Fonti - www.rfi.fr, Valérie Hirsch, en.wikipedia.org/Bushmen, www.survival-international.org

comunicato per il darfur

ITALIAN BLOGS FOR DARFUR
MOVIMENTO PER LA PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI IN DARFUR
www.savetherabbit.net/darfur
COMUNICATO DEL 17/12/2006

In occasione del recente aumento del canone RAI, fissato per l’anno 2007, ci sentiamo
in obbligo di domandare una migliore qualità dell’ informazione e maggiore attenzione
a temi quali lo stato dei diritti umani nel mondo e, in particolare, nel Darfur,
il cui
conflitto dura inosservato da tre anni e spegne ogni giorno la vita di centinaia di civili.

Chiediamo di svegliare le coscienze dal torpore dell’indifferenza, di volgere lo sguardo
verso gli uomini e le donne che ogni giorno lottano per la sopravvivenza, ascoltare il
grido che dal basso tenta di raggiungere i vertici dell’informazione televisiva per
costringerli con il nostro potere contrattuale, che ci deriva dall’essere i “consumatori”
dell’informazione, a promuovere servizi e approfondimenti sulle grandi crisi umanitarie
come quelle del Darfur. Alimentando una maggiore coscienza del genocidio in atto nel
Darfur, si può infatti sperare che il Governo Italiano si impegni maggiormente a livello
internazionale per fermare le ingiustizie e le atrocità che si stanno compiendo nella
regione.
Non c’è niente- di lecito – che possa fermare uomini e donne assetati di conoscenza,
ma molti – troppi- sono gli interessi in gioco e in tanti premono affinché il
consumatore non sia posto nelle condizioni di fare domande. Chi sa e vuole sapere
ancora di più è, infatti, il meno controllabile e il meno gestibile dei cittadini.
Abbiamo una grande arma pronta a sparare: il telecomando.
Allora svegliamoci dal sonno della coscienza, rendiamo liberi i produttori
dell’informazione dalla schiavitù del mercato e dalla banalità dello share,
comprensibile ma non giustificabile dinanzi a temi d’universale portata per i privati ma
inconcepibile per una televisione che si dichiara pubblica e al servizio dei cittadini.
Per informazioni: itablogsfordarfur@savetherabbit.net
Visita il blog: http://itablogs4darfur.blogspot.com

Friday 8 December 2006

darfur in caduta libera - fonte lapulcedivoltarie.blogosfere.it



Il Darfur va sempre peggio. Lo dicono gli stessi responsabili ONU, ma poi nulla di concreto succede, milioni di persone morte o scappate. Ormai le nazioni coinvolte nel conflitto sono tre: oltre al Sudan, anche Ciad e Repubblica centroafricana, dove operano gli stessi gruppi mercenari, armati da Al Qaeda e intenzionati a mettere le mani sulle miniere di uranio e sui giacimenti di petrolio.Ora "la situazione è in caduta libera", e sei milioni di persone sono a rischio. Naturalmente Napolitano, Parisi, D'Alema, Diliberto, Prodi non parlano di urgenza, non chiedono "Conferenze internazionali di pace" e -udite! udite!- non si sognano nemmeno di mandare "truppe internazionali di interposizione e di pace", come nel Libano. Ipocrisia come faccia politicamente corretta della violenza.The conflict in Darfur has spread to two neighboring countries and is now in ''free fall'' with six million people facing the prospect of going without food or protection, the outgoing U.N. humanitarian chief said Tuesday.Jan Egeland, who steps down on Dec. 12, told The Associated Press in an interview that one of the most difficult problems he has faced was convincing countries of the dire situation in the western region of Sudan.
''I think some of the Arab countries and Asian countries have not really understood we're in a free fall. It's not a steady deterioration. It's a free fall and it includes Darfur, eastern Chad, northern Central African Republic,'' he said.Egeland blamed the Sudanese government, parts of the rebel movement, ethnic leaders in Darfur, and the government of Chad for fueling the war, which began in 2003 when rebels from ethnic African tribes rose up against the Arab-led central government. Khartoum is accused of retaliating by unleashing the janjaweed militias of Arab nomads, who are accused of the worst atrocities.More than 200,000 people have been killed and 2.5 million displaced in the fighting, and the violence has only increased since the government and one rebel group signed a peace agreement in May.The U.N. is evacuating its international staff and the assets it can at the moment because of the intensifying violence and insecurity, ''but we're not protecting the lives of the vulnerable women and children, and there are four times more of them now than when we started in 2004,'' he said.Egeland, who was the first to call Darfur the world's worst humanitarian emergency in November 2003, said that one of his greatest regrets is that key global leaders did not come together and offer the sticks and carrots to settle the conflict in 2004 when it only involved one million people.''In the end, we only acted through the humanitarian way,'' Egeland said. ''We have kept people alive, but we haven't protected them, and as I'm going out, I regret to say we're in a free fall again.''
Where is the free fall going?''We would get a genocide. We would get a Rwanda. We could get a terrible situation if the four million people who are in need of humanitarian assistance in Darfur (are) joined by a million people in Chad and another million in northern Central African Republic. That's six million people in a totally hopeless situation.''Egeland recalled that the women and children he met during his recent fourth visit to Darfur thanked him for the food but pleaded for security. With the humanitarian operation collapsing in many places, he said, they will have nothing.In a farewell speech on Monday to the U.N. Security Council, Egeland accused world leaders of failing to live up to a pledge made at a U.N. summit in September 2005 to protect civilians caught in armed conflict from genocide, war crimes and ethnic cleansing. A Security Council resolution adopted in April reaffirmed their agreement.
Egeland said he does not want a world police force led by one of the big powers to go into countries at gunpoint and try to protect civilians, because that could lead to an even worse situation.''But what I do expect is that China, the United States, Russia, the European Union -- the leaders come together and say we're going to push and pull and provide sticks and carrots until it changes,'' he said.''If we had had that for Darfur, from China to the United States and everything in between, we would have had a different situation,'' Egeland said. ''But there was never this kind of a coherent situation.''Nonetheless, he said, things are starting to change.China, which has close economic ties to Sudan, is now ''actively engaged'' but there are also many more armed groups bent on revenge killings, he said.


The Security Council adopted a resolution pushed by Britain and the United States to transfer peacekeeping in Darfur from an ill-equipped 7,000-member African Union force to a larger, better equipped U.N. force. But the Sudanese government rejected a U.N. force, claiming it would violate the country's sovereignty and was an attempt at recolonization.


He supported the resolution but said it did not get implemented, partly because it lacked support from African, Arab and Islamic countries for a U.N. force.In late November, Secretary-General Kofi Annan said Sudan had agreed in principle to a compromise ''hybrid mission'' from the African Union and the U.N. -- but Khartoum wanted to discuss the size, the force commander and the head of the overall mission.''At the moment I think it's more than sad to see that grown men with jackets and ties like me sit and quarrel of what is a `hybrid force' ... while women and children are dying,'' Egeland said.''I'm happy to note that in nine months we might have this force, but what about the next nine days where it could collapse completely?'' (The New York Times)

Saturday 11 November 2006

news sulla campagna control arms

After three weeks of campaigning in New York and three years of campaigning around the world, the Control Arms campaign achieved a massive victory at the end of last month, when the UN General Assembly’s First Committee passed a resolution to start work on an Arms Trade Treaty (ATT).
Find out more about the resolution and Control Arms activities at the United Nations
In a highly significant display of support for establishing common standards on the international arms trade, 116 governments from around the world had officially endorsed the resolution entitled 'Towards an Arms Trade Treaty' before it was voted on.
The resolution subsequently received resounding support with 139 governments out of 164 voting in favour. Governments now have an opportunity to create a treaty that will help make a real difference to the hundreds of thousands of people whose lives are devastated by armed violence every year.
Specifically, the resolution commits the UN to set up a Group of Governmental Experts to establish the basis for "a comprehensive, legally-binding instrument establishing common standards for the import, export and transfer of conventional arms" - an Arms Trade Treaty. There is still a long way to go until the treaty comes into effect, but this is an enormously important first step and progress on this resolution has been very quick in UN terms.
Visit www.controlarms.org for more information

Oxfam works with others to overcome poverty and suffering.Oxfam GB is a member of Oxfam International.A company limited by guarantee and registered in London No. 612172.Registered office: Oxfam House, John Smith Drive, Cowley, Oxford, OX4 2JY.Registered Charity No. 202918. Tel: 0870 333 2700 www.oxfam.org.uk
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Saturday 28 October 2006


ACCUSE DI OXFAM: ANCORA CAFFÈ CHE PUZZA DI MARCIO
STARBUCKS ESERCITA PRESSIONI CONTRO IL BREVETTO DEL CAFFÈ ETIOPE


Due giorni fa l’Organizzazione Umanitaria Britannica OXFAM ha accusato la potente multinazionale del caffè Starbucks di ostacolare il brevetto di pregiate qualità di caffè, Sidamo ed Harar, da parte del governo etiope.
Starbucks nasce nel 1975 negli USA e la sua fortuna è basata sulla vendita di pregiati e svariati tipi di caffè. Si ingrandisce negli anni Ottanta e diventa marchio su scala globale negli anni Novanta. Nel 2000 lega il suo nome al marchio Fair Trade, al fine di divulgare l’immagine di azienda etica, che presta attenzione alle modalità di acquisto delle materia prime, assicurando l’assenza di sfruttamento in tutta la filiera produttiva. Nel 2005 ha donato più di 1,4 milioni di dollari a organizzazioni non profit.
Giusto per dare una misura dei rapporti di sfruttamento della manodopera locale, tra le qualità di caffè etiopi prodotte da Starbucks risulta anche Sidamo, che costa ben 50 dollari al chilo all’utente finale, di cui solamente 2,40 arrivano ai contadini etiopi. La cosa che non mi fa dormire di notte è che questo tipo di rapporti è considerato, di per sé, normale e praticamente legittimo da parte degli abitanti dei paesi occidentali. Anzi, devo sottolineare anche che Starbucks ha pagato ai contadini etiopi il 23% in più dei prezzi di listino medio per quelle qualità di caffè.
Nel 2005 l’Etiopia ha fatto domanda di registrazione dei marchi di Sidamo, Harar e Yirgacheffe, tre delle più pregiate qualità di caffè nazionali, presso l’ufficio brevetti americano Uspto, ma Starbucks ha bloccato il brevetto dei primi due. Il riconoscimento del brevetto per Harar e Sidamo avrebbe portato nelle tasche dei contadini ben 88 milioni di dollari in più.
Il fatto è che il presidente dell'organizzazione per i diritti di proprietà intellettuale Light Years Ip riferisce che il marchio Sidamo era già stato depositato da Starbucks nel 2004, per lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale.
Il blocco della concessione del marchio sarebbe stato messo in moto dall’Associazione Americana del Caffè (NCA); secondo OXFAM, invece, è proprio Starbucks ad istigare il blocco della concessione del brevetto.
L’americana Starbucks smentisce le accuse di aver "presentato un'opposizione alla richiesta del governo etiope sul marchio di fabbricazione". Smentisce anche recisamente di aver ispirato il tentativo di blocco avvenuto da parte di NCA presso l’ufficio brevetti americano USPTO.
Robert F. Nelson, capo di NCA, appoggia Hay, vicepresidente di Starbucks, dicendo che NCA è stato consigliato di azionare il blocco da una terza parte.
OXFAM apprende invece da varie fonti che Starbucks è coinvolta nell’azione di allerta di NCA per il blocco della richiesta etiope.
La risonanza mediatica delle campagne portate avanti da OXFAM potrà essere un buon modo per uscire dall’impasse in cui versa la battaglia legale.
Starbucks nell’ultimo anno ha avuto un fatturato di 6,1 miliardi di dollari, circa tre quarti del prodotto interno lordo del paese africano e nello stesso periodo ha incassato profitti per 3,7 miliardi di dollari. Ciononostante si impegna in una battaglia legale contro il governo africano per continuare ad esercitare velleità illegittime sui preziosi chicchi di caffè, di proprietà legittima del governo etiope e degli etiopi.
La cosa che va sottolineata è che ancora una volta questo tipo di attacchi ai diritti dei popoli del Sud del Mondo viene portato avanti da un’azienda che si è fregiata del titolo di impresa eticamente responsabile. Sì, finché non conviene qualcos’altro.

Friday 27 October 2006

Cosi' uccidiamo in Darfur, la confessione di un janjaweed, di Il Legno Storto


inviato il 19/10/2006
"Abbiamo bruciato le loro case e ucciso uomini, donne e bambini". È questa la drammatica confessione che un miliziano islamista dei janjaweed ha fatto al londinese Times sull'eccidio in corso nel Darfur. Il suo nome e' Dily, e' un arabo sudanese di vent'anni che ha combattuto una guerra interetnica al grido di "uccidi gli schiavi, uccidi gli schiavi". Dily rivela che la milizia islamica dei janjaweed, che ha gia' mietuto migliaia di vittime e centinaia di migliaia di sfollati e deportati, e' stata creata dal governo per portare a termine una "pulizia etnica", elemento sempre smentito dall'esecutivo in carica. "La maggioranza delle vittime erano civili, perlopiu' donne". I loro villaggi vengono bombardati indiscriminatamente o razziati e dati alle fiamme; le loro donne violentate e i loro figli rapiti e venduti come schiavi. Sono musulmani i fur, gli zaghawa e i massaleit che formano la spina dorsale dell'Sla (Esercito di liberazione del Sudan) e del Jem (Movimento per la giustizia e l'uguaglianza), i due gruppi armati che hanno iniziato la ribellione con assalti alle installazioni militari nel febbraio 2003, come sono musulmani quasi tutti i soldati delle forze governative e soprattutto i janjaweed, le milizie di nomadi che a cavallo o a dorso di cammello fanno irruzione nei villaggi del Darfur, seminando la morte e la distruzione col pretesto di reprimere la guerriglia.
È in corso una rivolta contro l'arabizzazione, un processo che si e' messo in moto negli anni Ottanta e ha prodotto dei vincitori e dei perdenti fra le 90 tribu' (gruppi minori inclusi) che abitano il territorio. I vincitori sono la trentina di tribu' generalmente classificate come arabe, i perdenti sono tutte le altre, conosciute sotto l'appellativo collettivo di zurga, cioe' "neri" o semplicemente africani. Per combattere la ribellione dei cristiani e animisti del Sud, negli anni Ottanta sono state armate ed eccitate al jihad contro gli infedeli bande di nomadi arabi del Kordofan e del Darfur (i rezigait), allettate con la prospettiva della razzia ai danni dei neri, loro vittime secolari. I muraheleen (questo il nome delle milizie) sono stati funzionali alla strategia governativa della terra bruciata, che ha privato la guerriglia della sua base sociale e territoriale attraverso la devastazione delle terre dei dinka e dei nuer, bacino di reclutamento dell'Spla. Questa scelta ha avuto come ricaduta la politicizzazione dei nomadi arabi, che hanno cominciato a rivendicare maggiori poteri, e l'inevitabile cedimento alle loro richieste da parte del governo.
L'ascesa dei janjaweed e' cominciata nel 1986, quando l'allora primo ministro Sadiq al-Mahdi decise di combattere la ribellione dei neri cristiani e animisti del sud organizzando in milizie bene armate e addestrate i nomadi arabi che da secoli perseguitano le etnie africane sedentarie con razzie che un tempo alimentavano la tratta schiavista verso la penisola arabica. Il loro compito era di fare terra bruciata nelle aree abitate dai dinka e dai nuer, bacini di reclutamento dei ribelli dell'Spla, l'Esercito popolare di liberazione del Sudan, e lo svolsero in pieno anche dopo che al potere ascese il generale Omar al-Bashir. Fra loro vi erano anche molti arabi del Darfur delle tribu' baggara. Militarizzati e politicizzati, gli arabi del Darfur hanno cominciato a rivendicare maggiore potere nella loro regione di insediamento, dove tradizionalmente pascolavano su territori dati in concessione dalle autorita' tribali delle etnie durga. Da due anni orde di questi arabi del nord e del centro del paese operano razzie, distruggono villaggi, pozzi, piantagioni, allevamenti e uccidono famiglie, oltraggiando vecchi, stuprando donne, abusando bambini e bambine per poi rivenderli come schiavi nei mercati del Sudan e del Medio Oriente.
Come ha raccontato padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News, dopo i bombardamenti arrivano i Janjawid a cavallo e in groppa a cammelli, o guidando potenti jeep dell'esercito per fare razzia e distruggere quanto e' ancora rimasto in piedi e per uccidere chiunque osi difendere la sua casa o i suoi familiari, mentre gli elicotteri governativi sparano all'impazzata con mitragliatrici. Le testimonianze raccolte da gente fuggita all'eccidio parlano di villaggi messi a ferro e fuoco, di centinaia di morti, di ragazzi uccisi per difendere le loro mandrie. La gente si difende a mani nude, o con vecchi fucili; i Janjawid hanno mezzi sofisticati: kalashnikov, telefoni satellitari, divise, automobili. Ma il loro modo di uccidere e' tipico di tutte le antiche barbarie: donne con i seni recisi, vecchi con la testa fracassata, bambini sbattuti contro le mura di casa. E centinaia di donne violate, perfino deflorate con lunghi coltelli e marchiate a fuoco sulle mani. Lo scorso 27 febbraio a Tawila, in un solo giorno, i Janjawid hanno ucciso sessantasette persone; quarantuno ragazze, insieme alle loro maestre sono state stuprate, alcune fino a quattordici volte, di fronte ai propri parenti. I Janjawid attaccano anche le piccole carovane di profughi, li derubano di animali, coperte, cibo, decretando la loro morte per fame o per sete; avvelenano i pozzi lungo le piste, bombardano i rigagnoli d'acqua perche' la sete uccida gli uomini e le bestie.
Dietro all'eccidio c'e' sempre un teorico del male. In questo caso il suo nome e' Hassan al Turabi, l'ideologo islamista che si e' opposto al recente e flebile accordo di pace. Nato nel 1932, Turabi ha studiato legge all'Universita' di Khartoum, poi all'University of London e infine alla Sorbona di Parigi. Poliglotta, carismatico ed educato all'occidentale, a causa della tensione tra il governo sudanese e i Fratelli musulmani, alla fine degli anni Sessanta Turabi fu arrestato e passo' buona parte del decennio successivo prima in prigione e poi in esilio. Nel 1979, riconciliatosi con il governo, ritorno' in patria diventando ministro della Giustizia. All'inizio degli anni Ottanta ha contribuito in maniera decisiva a introdurre una versione rigida della sharia, con norme punitive molto severe anche per crimini minori. Durante tutti gli anni Ottanta il Sudan e' stato in preda alla guerra civile, con continui cambi di potere, e alla fine, nel 1989, Turabi, assieme all'attuale presidente Bashir, e' stato tra i protagonisti principali del colpo di Stato del Fronte nazionale islamico. Arrivato al potere, Turabi e' stato finalmente libero di istaurare uno Stato islamico radicale, come aveva sempre sperato. Nell'aprile del 1991 Turabi organizzo' una Conferenza popolare arabo-islamica, che si tenne poi regolarmente fino alla fine degli anni 90. Adepti di tutti i gruppi radicali presenti in medio oriente vi misero radici: terroristi palestinesi, Hezbollah, l'organizzazione di Abu Nidal, gruppi terroristici egiziani. Vari membri di cio' che poi sarebbe diventata al Qaida, compreso bin Laden, vi installarono le loro sedi e arrivarono anche gli esperti iracheni (e iraniani) di spionaggio.
Dal 1994, bin Laden e al Qaida si erano definitivamente radicati in Sudan. Gli investimenti fatti da bin Laden erano collegati ai servizi offerti dal governo sudanese: i membri di al Qaida lavoravano a stretto contatto con funzionari ed esperti di intelligence governativi; le societa' di bin Laden continuavano a migliorare le infrastrutture del paese, costruendo strade, imprese e societa' d'affari. E preparandosi per il genocidio islamico di migliaia di persone. Nel silenzio dell'Europa, dell'Onu e della cultura politicamente corretta. Che non ha alzato la sua voce sul Darfur, visto che se non c'e' di mezzo l'America non c'e' alcuna indignazione.

Thursday 7 September 2006

Nestlé e fair trade

Scusate se me ne esco con
una storia di un anno fa, ma
ritengo sia il caso di rinnovare
l'appello su questa tematica.
Nell'ottobre 2005 Nestlé

ottiene il marchio dalla Fair
Trade Foundation per un suo
prodotto, il caffé istantaneo
NESCAFE Partners’ Blend.
Ora, dati i precedenti della

multinazionale svizzera, ciò
ha provocato indignazione in
molti enti della società civile,
in particolare i diretti interessati
dall'azione: il mondo del commercio
equo e solidale.
Da anni Nestlé è ritenuta colpevole di violazioni ripetute del codice dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sui sostituti del latte materno, dato che rifila alle madri del Sud del mondo il suo latte in polvere per i neonati (pratica oltremodo dannosa per il bambino e vietata, appunto, da questo codice).
Nestlé, inoltre, nel 2003 chiede all'Etiopia 6 milioni di dollari, per una causa che inizia nel 1975. In breve, in quell'anno l'Etiopia nazionalizza una fabbrica tedesca dello Schweisfurth Group, dopo un colpo di stato militare. Comincia una battaglia legale lunghissima, che dura per quasi trent'anni, in quanto il Gruppo vuole riottenere dal Governo i danni di questa azione coercitiva. Nel frattempo Nestlé rileva Schweisfurth. Nel 2003 gli avvocati del Governo etiope offrono come compromesso la cifra di 1,5 milioni di dollari, ma Nestlé rifiuta l'offerta e chiede il quadruplo di quella cifra, cioè un indennizzo di 6 milioni di dollari ad uno degli stati più poveri del mondo. È bene tenere presente che un solo anno di vendite realizzate da Nestlè è pari a 8 volte il Prodotto interno lordo dell'Etiopia, che tra l'altro attraversa una carestia terribile in quel periodo.
Altro problema da risolvere con la presunta 'equità' e 'solidarietà' dell'azienda è l'omicidio, nel settembre scorso, di Diosdado Fortuna, presidente del sindacato Nestle-Cabuyao nelle Filippine. Diosdado, impiegato presso la piantagione di Cabuyao-Laguna, una delle più grandi della Nestlè di quello stato, era un rappresentante sindacale fortemente impegnato nello sciopero ad oltranza che da gennaio 2002 vede i lavoratori della piantagione protestare contro Nestlè per il mancato riconoscimento dei diritti relativi alla pensione.

Nell'ottobre 2005 Nestlé ha richiesto ed ottenuto il marchio fair trade per il suo caffé istantaneo. Solidale ed equo, dimenticavo. Possiamo davvero dire che Nestlé produca un caffé equo e solidale? Ma ha senso che un'azienda, non-equa e non-solidale, possa essere insignita di tale marchio, solo per un (dico uno) prodotto che rispetta le regole ed aiuta i contadini?? Tutto dipende da cosa intendiamo per fair-trade. Il significato di fair trade, almeno fino all'ottobre scorso, era la trasparenza di filiera e del rispetto dei diritti umani da parte di tutta l'azienda ed in tutto il processo di lavorazione. Non si poteva dire 'questo prodotto sì, questo no'. Non bastava un tocco di make-up (pubblicitario?) per ottenerlo.
A meno che non vogliamo salvare Sodoma a Gomorra, città di peccatori, per un solo giusto che vi si possa trovare all'interno. Ritengo non sia il caso di applicare la morale biblica, ma le regole e la filosofia che stanno alla base del concetto di fair-trade. Che è stato tradito.

Guardate come se ne gloriano sul loro sito...

Wednesday 6 September 2006

informazione televisiva italiana in Darfur


Trovo importante l'iniziativa dell'Italian blogs for Darfur...
La situazione in Darfur, nel Sud-Ovest del Sudan, è una delle 4 più importanti che oggi affliggono l'Africa (insieme ad Uganda, Costa d'Avorio e RD Congo) e a cui l'informazione italiana non dedica uno spazio idoneo.
Un conflitto che nasce nel 1983, tra il governo del Nord, con capitale a Khartoum, arabo e a maggioranza musulmana e il Sud, a maggioranza nera, di religione cristiana ed animista. Dal 2003 riprendono le violenze nella regione del Darfur, con la contrapposizione della maggioranza nera alla minoranza araba. Khartoum sostiene quest'ultima, maggioritaria nel paese, ed è accusato di appoggiare le feroci scorribande della tribù nomade-guerriera dei Janjaweed, anch'essa di origine araba.
Il 5 maggio scorso ad Abuja (Nigeria) è stato firmato un accordo tra governo e il Movimento di Liberazione del Sudan, uno dei 3 gruppi di ribelli. Ciò ha creato un inasprimento del conflitto, anche a causa dell'insoddisfazione degli altri due gruppi ribelli.

I Janjaweed hanno effettuato continue incursioni contro la popolazione civile ed hanno anche ucciso 12 operatori dell'ONU.
In tutto questo tempo, i telegiornali italiani costruiscono i loro notiziari come se tutto ciò quasi non esistesse. Nel 2005 è stata dedicata poco più di un'ora al Darfur...


Firmate su http://www.itablogs4darfur.blogspot.com/

Friday 18 August 2006

Per Proemio

Lentamente muore chi diventa schiavo delle abitudini,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e non cambia il colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero sul bianco e i puntini sulle " i"piuttosto che un'insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare,
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna e della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande su argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

 Martha Medeiros